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Innocenzo X e quel cambiamento verso la musica

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Il 6 maggio di 450 anni fa nasceva Giovanni Battista Pamphilj, futuro papa Innocenzo X. Fu uomo pio, ma incline a pratiche nepotiste. Non diede un grande sostegno alla musica, a differenza del suo predecessore Urbano VIII.

Cultura 07_05_2024

Il 6 maggio di 450 anni fa, a Roma, nacque Giovanni Battista Pamphilj (1574-1655), destinato a diventare papa Innocenzo X, regnante dall’ottobre 1644 al gennaio 1655. Celebre è il ritratto che lo raffigura, dipinto con straordinario realismo da Diego Velásquez († 1660).

Dopo essersi laureato in diritto civile e canonico, servì come nunzio a Napoli e in Spagna, prima di essere eletto papa il 15 settembre 1644. Si scontrò con i Barberini, parenti del suo predecessore, Urbano VIII. Favorì apertamente i suoi parenti con pratiche nepotiste e mise in discussione il principio della "chiesa di Stato" contenuto nelle clausole della contestata Pace di Vestfalia (1648). Nel 1653 condannò le cinque proposizioni dell'Augustinus di Cornelio Giansenio († 1638). Giocò un ruolo attivo nell'applicare le disposizioni del Concilio di Trento (1545-1563); sostennne le missioni e la creazione di nuovi seminari. Arricchì Roma con monumenti preziosi, avvalendosi del lavoro di artisti come Gian Lorenzo Bernini († 1680) e Francesco Borromini († 1667).

Tuttavia, la musica e, in particolare, l’opera non ricevettero dall’antiteatrale Innocenzo X il grande sostegno avuto durante il ventennio di papa Barberini. Il vivace gruppo di musicisti e letterati che si era radunato soprattutto intorno a Giulio Rospigliosi, poeta, librettista e futuro papa Clemente IX († 1669), si disperse, portando con sé lo spirito dell'opera romana, influenzando anche la scuola musicale veneziana che stava emergendo con sempre maggiore prestigio.

Desideriamo qui evidenziare, in ordine cronologico decrescente, tre fatti salienti riguardanti la Cappella musicale pontificia «Sistina» sotto Innocenzo X.

Il 25 dicembre 1652 papa Pamphilj comunicò ai cantori, tramite il suo maggiordomo, il divieto di improvvisare contrappunti durante le liturgie papali (cfr. Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Cappella Sistina, Diario Sistino 70). Mario Savioni († 1685), contralto nella Cappella pontificia dal 16 marzo 1642, emerse come compositore da camera per il papa. Nel 1647, Odoardo Ceccarelli (†1668), dal 1628 tenore e dal 1652 maestro pro tempore della Cappella pontificia, scrisse di lui: «Compositore di camera eccellentissimo come ne posson far fede tante bell'Arie, madrigali, oratorij et altri simili cantilene di camera che hoggi vanno per le mani dei più celebri e famosi cantanti» (Ibidem 66).

Le composizioni di Gregorio Allegri († 1652), dal 6 dicembre 1629 contralto e dal 1650 direttore pro tempore della Cappella pontificia, entrano definitivamente nel repertorio dei Cantori papali. Nel 1638, il musicista e sacerdote romano compose «la meraviglia di quei tempi»: il celebre Miserere a nove voci, in due cori, sul testo del Salmo 50, in cui il penitente piange i suoi peccati e implora la divina Misericordia. Quel Miserere si eseguiva due volte l’anno, durante l’Officio delle Tenebre, che oggi si chiama Ufficio delle Letture del Giovedì e del Sabato Santo (il Venerdì Santo si cantava quello di Felice Anerio o di Sante Naldini), dopo i Vespri del giorno precedente ognuno di questi giorni – ossia dopo il tramonto di Mercoledì e Venerdì Santo – esclusivamente nella Cappella Sistina in Vaticano.

Nel suo divertente sonetto del 31 marzo 1836, Er miserere de la sittimana santa, Giuseppe Gioachino Belli († 1863), il maggior poeta romanesco, scrive che tutti gli inglesi, alloggiati nell’albergo Londra in Piazza di Spagna, parlano di quale piacere provino quando sentono il Miserere, cantato a San Pietro dai cantori pontifici, senza accompagnamento strumentale. E infatti Belli si domanda chi sappia cantare come a Roma: Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam. Il poeta ricorda che sul magnam «sce so’ stati un’ora» e, cantata così, quel magnam è una parola che fa innamorare. Prima l’ha detta un cantore, poi due, poi tre, poi quattro; e tutto il coro, allora, ha accompagnato con calore: misericordiam tuam (G. G. Belli, Duecento sonetti in dialetto romanesco, Barbèra, Firenze 1870, p. 257).

Inoltre, nel novembre 1644, poco dopo la sua elezione alla Cattedra di San Pietro, Innocenzo X ricevette un memoriale «per riparare alla distruttione della musica» scritto da Romano Micheli († 1659), compositore e «sacerdote di Roma», ricordato più per i suoi scritti polemici che per il valore delle sue composizioni musicali. In questo documento, i Cantori della Cappella pontificia sono pesantemente criticati per il loro decadimento musicale e dottrinale. Si richiamano polemiche passate e si menzionano musicisti come Stefano Fabri iunior († 1658), appena nominato maestro di cappella nella chiesa romana di S. Luigi dei Francesi, che viene definito «musico ordinario», e Gregorio Allegri, giudicato «di cattiva voce». I principali punti sollevati nel Memoriale riguardano la crescente mancanza di composizioni musicali raffinate, la frequente esecuzione nelle chiese di musiche «ad uso di canzonette, e balletti con molto scandalo del popolo» da parte dei cantori pontifici, il declino dell’istruzione musicale. Micheli conclude chiedendo di essere nominato compositore della Cappella pontificia, sottolineando il suo «talento non ordinario» (R. Casimiri, Romano Micheli e la Cappella Sistina del suo tempo in Note d'archivio per la storia musicale, Roma 1924, pp. 237-245). Questa richiesta non fu accolta, ma alcune delle sue critiche sembravano fondate.

Innocenzo X fu un «uomo pio, desideroso di giustizia, ma diffidente, indeciso» (Treccani) e troppo legato ai suoi familiari. La sua reticenza nei confronti della musica e delle opere teatrali ha rappresentato un cambiamento significativo rispetto al ventennio precedente, influenzando il panorama artistico e musicale del suo tempo. La sua figura rimane un soggetto interessante di studio per comprendere le dinamiche politiche, culturali e artistiche del XVII secolo, nonché il complesso rapporto tra il potere religioso e la cultura.