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RIMBORSOPOLI

5 Stelle: moralità a corrente alternata (solo per gli altri)

Fra gli stipendi restituiti dai parlamentari del M5S manca più di un milione. Non è mai conveniente inalberare il vessillo del primato morale in politica, perché è un'arma che si è sempre rivoltata contro chi l'ha impugnata, sin dai tempi del Partito Comunista, passando per Di Pietro. 

Politica 14_02_2018
Di Maio

Non è mai conveniente inalberare il vessillo del primato morale in politica, quando non si è certi di poter controllare le condotte di tutti i propri militanti. Ci hanno storicamente provato i comunisti, rivendicando la loro superiorità nel campo dell’etica, ma la storia ne ha smascherato l’ipocrisia e il cinismo. Sconfessato da inchieste varie anche Antonio Di Pietro, che negli anni di Tangentopoli sembrava l’alfiere insostituibile dell’onestà e poi ha visto il suo partito (L’Italia dei valori) sgretolarsi fatalmente di fronte alle gravi irregolarità su soldi e rimborsi, svelate dalla trasmissione di Rai 3, Report.

E’ questa la lezione che si ricava anche dalla “rimborsopoli” dei Cinque Stelle, portata alla luce da un servizio delle “Iene” (Italia 1), peraltro trasmesso solo sul web per non violare la par condicio.

Supererebbe il milione di euro il “buco” nelle restituzioni volontarie dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle sul conto del microcredito del Ministero dello sviluppo economico, a disposizione di piccole e medie imprese sane che dimostrino di poter rimborsare il finanziamento garantito. Dai primi riscontri si evincerebbe che non solo i parlamentari, ma anche alcuni consiglieri ed europarlamentari pentastellati versano i rimborsi su quel conto e, dai calcoli fatti, i vertici sottolineano che "mancano più soldi di quanto affermato dalla stampa". Ora bisogna appurare se si tratti di semplice negligenza nei conteggi o di malafede da parte dei singoli, che avrebbero preso in giro i vertici del Movimento, tenendosi nelle proprie tasche l’intero stipendio.

Il candidato premier dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio si è affrettato a ridimensionare la portata del caso e ha assicurato che “le mele marce” verranno emarginate. Ovviamente solo dal resoconto del Ministero sarà possibile quantificare l’entità degli ammanchi rispetto a quanto annunciato, visto che alcuni parlamentari grillini hanno dichiarato di aver versato quei contributi ma poi di aver bloccato i bonifici per via delle alte commissioni bancarie. Motivazione poco credibile, come peraltro pensano gli stessi vertici del Movimento.

E’ vero che i Cinque Stelle hanno versato a quel fondo 23 milioni e 100.000 euro di stipendi, restituendo quindi allo Stato una porzione cospicua delle cifre incassate sotto forma di retribuzione come parlamentari, mentre nessuno degli altri partiti ha fatto altrettanto. Si tratta di somme che sono servite a far partire 7.000 imprese e a creare 14.000 posti di lavoro.

Il problema è un altro e sta nella coerenza tra il dire e il fare. Se tu fai della moralità il tuo principale elemento di differenziazione dalle altre forze politiche e rivendichi una verginità di comportamenti, non puoi poi farti prendere con le mani nella marmellata. Nessuno ha chiesto ai grillini di stornare quelle somme sul conto del microcredito alle imprese. Sono stati loro, con grande orgoglio, ad annunciarlo. Scoprire che alcuni non l’hanno fatto e che quei soldi li hanno trattenuti insieme al resto dello stipendio è un atto di grave disonestà intellettuale, sul quale i vertici pentastellati hanno il dovere di intervenire. E in ogni caso viene da chiedersi se la leggerezza evidenziata nei controlli su questo tipo di comportamenti non rischi di rimanifestarsi su scala ben più ampia, qualora i grillini andassero al governo del Paese.

Bene ha fatto Di Maio a presentarsi negli uffici dell’istituto di credito che è a Montecitorio, in compagnia delle Iene, per ricostruire e documentare i suoi versamenti. Sui social la base grillina ha dimostrato di apprezzare. Ma la falsificazione riguarderebbe molti altri parlamentari, non tanto il vicepresidente della Camera. Andrea Cecconi e Carlo Martelli, due parlamentari già scoperti, si sono di fatto ritirati dalla campagna. E Di Maio preannuncia altre esclusioni. Ma il problema è tecnico. Una volta eletti, questi parlamentari inadempienti rispetto alla regola dei versamenti, cosa faranno? Si dimetteranno? Resteranno in sella e aderiranno ad altri partiti o al gruppo misto? Il rischio è che alcuni di loro possano ufficialmente defilarsi ma poi ritrovarsi eletti anche grazie ai voti degli ignari militanti pentastellati. E a quel punto che farebbero i vertici del Movimento? Li riabiliterebbero, pur di non lasciarli cadere tra le braccia degli altri partiti, perdendo di fatto seggi preziosi?

La matassa va sbrogliata in fretta, anche per non disorientare l’opinione pubblica. Certo è che la morale non dovrebbe essere un programma politico, bensì una semplice precondizione di qualsivoglia azione politica ed è sempre rischioso dichiararsi immacolati quando poi si hanno scheletri nell’armadio. Ben difficilmente Di Maio e gli altri vertici del partito sapevano di queste irregolarità ma allora meglio stare zitti e non dire di essere più puliti degli altri. Tutto questo rimanda, infine, alle modalità di compilazione delle liste pentastellate, che tanto hanno scontentato porzioni di base e aspiranti candidati esclusi. Se poi a correre nelle fila del Movimento sono tanti personaggi in cerca d’autore e perfino parlamentari uscenti coinvolti ora in “rimborsopoli”, evidentemente le “parlamentarie” andrebbero riviste e la selezione della classe dirigente grillina dovrebbe avvenire su altre basi più meritocratiche e democratiche. Altrimenti il rischio serio è di diventare come gli altri, se non peggio.