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DIFESA

A chi servono davvero gli F-35?

Quanti voti spostano le spese militari a un mese dalle elezioni? Perché l'Italia insiste con gli l’F-35 nonostante i numerosi difetti che lo caratterizzano? Il "made in Usa" è diventato un dogma? Ma soprattutto, siamo certi di potercelo permettere? Alcune risposte, al di là della propaganda pacifista ed elettorale.

Politica 25_01_2013
F-35

Quanti voti portano le spese militari? La facile risposta a questa domanda sembra aver stimolato la politica italiana a cercare consensi affrontando in modo populistico e semplicistico le spese per la Difesa e soprattutto la commessa per 90 cacciabombardieri F-35 nell’ambito di un programma che ci costerà circa 15 miliardi di euro (più di 2 già spesi) nei prossimi quindici anni.
A rilanciare in modo demagogico la questione ha provveduto Pier Luigi Bersani sostenendo che si possa ridurre i velivoli F-35 perché “ abbiamo gli esodati, gli uffici sociali dei comuni con la fila davanti, e si tagliano i soldi ai disabili''.

Evidente il tentativo di sfondare a sinistra e conquistare consensi negli ambienti pacifisti anche se è paradossale che proprio Bersani si esponga contro un velivolo la cui acquisizione è stata decisa nel 1996 e confermata nel 2007 da due governi di centro-sinistra (premier Romano Prodi) benché a sostenere il programma abbiano provveduto anche i governi Berlusconi e, in ultimo, l’esecutivo Monti.
Al di là delle polemiche esplose in queste ore spiace che ancora una volta i temi legati alla Difesa vengano gestiti politicamente in modo superficiale e spesso con scarsa competenza.

I pacifisti vorrebbero tagliare le spese militari senza rendersi conto, nel loro furore ideologico, che la Difesa non è un lusso, ma una funzione fondamentale di ogni Stato. Far passare il concetto che lo Stato possa abdicare a una delle sue funzioni costituirebbe un pericoloso precedente che domani potrebbe allargarsi a settori più “sociali” e più costosi della spesa pubblica.

Il ministro Giampaolo Di Paola e l’Aeronautica sostengono che l’aereo è indispensabile ma non si capisce bene a che cosa perché nessuno ha mai delineato in modo preciso cosa pretenda l’Italia dalle sue forze armate e contro chi ci prepariamo a fare la guerra.
Inevitabile dover rimpiazzare i vecchi cacciabombardieri Tornado, AMX e Harrier, ma ammesso che l’F-35 riesca a superare tutti i numerosi difetti che ancora lo caratterizzano e diventi un aereo da attacco invisibile ai radar, sofisticatissimo ed efficacissimo siamo certi di potercelo permettere?

Perché non basta dire che i costi dell’aereo americano sono elevati (e probabilmente cresceranno ancora) senza ricordare che il bilancio della Difesa riesce a fatica a trovare il denaro per acquistare nuovi mezzi moderni, ma per farlo taglia da molti anni i fondi per l’Esercizio, cioè per manutenzione, carburante e addestramento. Ha quindi senso acquistare gli F-35 per tenerli chiusi in hangar causa mancanza di benzina e manutenzione come già accade per molti aerei, mezzi e navi?
I gravissimi ritardi del programma F-35, i costi fuori controllo, le prestazioni insoddisfacenti e la vulnerabilità ai fulmini (paradossale per un aereo battezzati Lightning) segnalati in un recente rapporto de Pentagono hanno già indotto Turchia, Gran Bretagna, Olanda e Australia a congelare le commesse mentre il Canada ha annullato l’ordine per 65 F-35 affidando la scelta del nuovo aereo militare a una gara aperta a molti altri velivoli.

Possibile che in Italia l’acquisizione del velivolo statunitense debba essere considerato un dogma sul quale si scontrano “religioni” opposte? Negli anni scorsi l’Italia ha speso miliardi per sviluppare con i partners europei la capacità di progettare, produrre ed esportare jet da combattimento (i Typhoon del consorzio Eurofighter) concorrenziali con i velivoli made in USA. Con l’adesione al programma F-35 la nostra industria perderà questa capacità per diventare subfornitrice dell’americana Lockheed Martin.

Questa considerazione basterebbe da sola a mettere in discussione l’acquisizione dell’F-35. Inoltre occorrerebbe valutare se abbia un senso metterci nelle mani degli statunitensi, che avranno l’esclusivo accesso alle tecnologie più avanzate adottate dal velivolo, in un momento in cui gli interessi globali di Washington non sembrano coincidere con quelli italiani ed europei. Perché poi dovremmo continuare a essere buoni clienti di costosi e traballanti programmi americani quando Barack Obama applica lo slogan “buy american” su tutte le (o quasi) le commesse militari e negli ultimi mesi la sua amministrazione ha tagliato i contratti per i velivoli cargo italiani C-27J destinati alla Guardia Nazionale e G-222 acquisiti per le forze afghane?

Cancellazioni sospette che favoriscono in entrambi i casi l’aereo da trasporto C-130J prodotto da Lockheed Martin, la stessa azienda che produce gli F-35. La Germania, che spende per la Difesa oltre il doppio dell’Italia, ha deciso di non comprare l’F-35 e di impiegare un solo aereo da combattimento, il Typhoon, aggiornato anche per condurre operazioni di attacco. Con una linea di volo basata su un solo velivolo la Luftwaffe avrà costi logistici molto più bassi di quelli che dovrà sostenere la nostra Aeronautica che affiancherà i Typhoon da caccia agli F-35 da attacco.

Una scelta “alla tedesca” ci permetterebbe di salvaguardare meglio la nostra industria e i posti di lavoro acquisendo solo una ventina di F-35 nella versione B a decollo corto e atterraggio verticale. Aerei davvero indispensabili per la portaerei Cavour che ha bisogno di velivoli con queste caratteristiche per rimpiazzare gli Harrier oggi in servizio.
Gli F-35B potrebbero però venire presi in leasing dai Marines statunitensi tra una decina d’anni, quando molti dei problemi di immaturità del velivolo si auspica siano già stati risolti. Non mancano quindi interrogativi e opzioni sui quali aprire un dibattito approfondito, certo utile a contribuenti ed elettori, ma sul quale la classe politica non sembra avere né la voglia né la capacità per misurarsi.