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LA CRISI IN LIBIA

A Tripoli è un golpe di islamici e trafficanti "affamati"

Cosa sta succedendo in Libia, alle nostre porte? E' "solo" un regolamento di conti fra milizie rivali o qualcosa di più grande? Con più di 200 morti, di sicuro, è già la più grave crisi militare dal 2014. Milizie impoverite dal calo del flusso dei migranti, interno e marittimo, formazioni islamiste e rivali del governo Serraj, stanno alimentando la nuova insurrezione armata. Il generale Haftar, che controlla la Cirenaica, ha ora tutto l'interesse a sbarazzarsi di un governo che è riconosciuto dall'Onu, ma controlla solo la capitale. E la Francia sta giocando un ruolo molto ambiguo in tutto questo, foraggiando milizie e agendo arbitrariamente sulle prossime elezioni. Ne parliamo con Michela Mercuri, autrice di Incognita Libia. Di sicuro la destabilizzazione favorisce trafficanti e jihadisti. E minaccia la nostra sicurezza.

Esteri 04_09_2018
Pattuglie filo-governative a sud di Tripoli

Quella a cui stiamo assistendo in Libia, è “solo” una delle tante rese dei conti fra milizie locali, oppure è lo scoppio di una nuova guerra? La conta dei morti è arrivata agli oltre 200. La crisi militare, scoppiata con l’insurrezione di due milizie tripolitane contro il governo di Fayez al Serraj, è la più grave dal 2014.

Chi sta attaccando al Serraj? Sono due milizie locali, la Settima Brigata, con sede a Tarhuna (a Sud di Tripoli) e la Brigata al Samsoud (di Tripoli). Lo scorso 27 agosto, la Settima Brigata, sotto la guida del colonnello Abdel Rahim Al Kani, è stata la prima a dichiarare guerra al governo di unità nazionale, presieduto da Serraj, unico governo libico riconosciuto come legittimo dall’Onu, con sede a Tripoli. La Settima Brigata, dopo aver accusato di corruzione le milizie che presidiano la capitale e lo stesso governo Serraj, ha avvertito gli abitanti della zona di Abu Salim, nel Sud di Tripoli di lasciare le loro case, poi ha dato inizio all’offensiva. Gli uomini di Al Kani hanno dunque attaccato l’eterogenea coalizione di milizie che proteggono il governo, fra cui le Forze Speciali di Dissuasione (che presidiano le istituzioni), la Brigata Nawasi (che occupa il porto) e soprattutto il Battaglione dei Rivoluzionari di Tripoli che difende gli accessi meridionali della città, dove gli scontri sono più intensi. Le milizie di Misurata, a volte alleate e a volte nemiche di Serraj, sono entrate in azione ieri, chiamate dal governo: è intervenuta la Forza Antiterrorismo, del generale Mohammed al Zain, con una forza mobile dotata di pick-up pesantemente armati. Ieri sera, questa milizia era alle porte occidentali di Tripoli. Al fianco di Al Qani, invece, si è schierato Salah Badi, protagonista dei moti del 2014, leader della Brigata al Samsoud.

In questo conflitto, dove è difficile distinguere le milizie insorte da quelle rimaste fedeli al governo, la forza Onu in Libia, Unsmil, sta tentando la via della mediazione. L’incontro fra i leader delle milizie rivali dovrebbe tenersi oggi. “Sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell'offerta del Segretario generale delle Nazioni Unite di mediare tra le varie parti libiche – si legge nel comunicato Unsmil, si invita a - tenere un dialogo urgente sull’attuale situazione della sicurezza a Tripoli”. Intanto la diplomazia italiana non chiude: l’ambasciata, sfiorata da un colpo di mortaio, resta aperta. Così come gli uomini dell’ospedale di Misurata non verranno evacuati. Ma vi sarà alcun intervento: il vicepremier Salvini, ieri, lo ha escluso tassativamente. I governi di Francia e Italia, i più coinvolti nella vicenda libica, esprimono la loro solidarietà al governo Serraj.

Eppure nelle parole di Salvini si legge una malcelata accusa ai “cugini” d’Oltralpe per la crisi in corso: “C’è dietro qualcuno, evidentemente, nulla avviene per caso. Il mio timore è che qualcuno, per motivi economici e per egoismi nazionali metta a rischio la stabilità del Nord Africa e di conseguenza anche quello dell’Europa”. Intende proprio la Francia? “Penso a qualcuno che è andato a fare una guerra che non doveva fare e che fissa la data delle elezioni senza interpellare gli alleati, l’Onu e i libici”. Sì, quindi intende proprio la Francia, l’indovinello è molto facile. Perché fu soprattutto la Francia a spingere per l’intervento Nato contro Gheddafi nel 2011 ed è la Francia, in questi mesi, che sta trattando con le varie fazioni libiche per organizzare elezioni entro dicembre. Una data di scadenza molto vicina, su cui ha lavorato a luglio il ministro degli esteri Jean Yves Le Drian, con un giro di colloqui in Libia, non solo con Serraj, il suo principale oppositore il generale Khalifa Haftar e gli altri partecipanti al vertice di Parigi del 29 maggio scorso, ma anche con i leader delle milizie che avevano condannato il vertice.

Da qui si comprende quanto la crisi libica interessi direttamente il nostro paese. Prima di tutto per le sue cause, fra cui c’è anche il cambio di politica italiana sull’immigrazione. Come spiega Michela Mercuri (docente all’Università di Macerata di Storia contemporanea dei paesi mediterranei, autrice di Incognita Libia) a La Nuova Bussola Quotidiana, “Sicuramente il calo dei flussi migratori non ha causato solo una riduzione del flusso marittimo, dalla Libia all’Italia, ma anche una diminuzione dei transiti di terra, dal Sud desertico. Molte fazioni e milizie libiche stanno subendo perdite a causa del calo di questo traffico, su cui lucravano. Non avendo più una fonte di reddito garantita, protestano e prendono le armi contro il governo. Ufficialmente dicono che si tratta di una protesta contro la corruzione, perché manca la luce a Tripoli e scarseggiano i servizi essenziali. Ma di fatto vogliono riaffermare il loro potere, perché tenere a bada i loro stessi uomini è sempre più difficile, senza i proventi dei flussi migratori. La fame fa uscire il lupo dalla tana, come recita un vecchio detto popolare”.

Il governo di Serraj ha ottenuto il sostegno sia dell’Italia che della Francia, ma allora la Francia fa il doppio gioco? “Non è possibile stabilire con certezza un rapporto fra la Francia e quanto sta avvenendo adesso – premette la professoressa Mercuri – Ma certamente i francesi hanno preso contatto con le milizie ribelli e hanno promesso loro 800mila euro per indire le elezioni di dicembre. Ora, 800mila euro non sono una gran cosa, ma in periodi di vacche magre fanno gola, le ha avvicinate alla Francia. Non posso escludere che la Francia abbia distribuito altri soldi ad altre milizie, per avere più uomini fedeli e pronti ad agire a Tripoli”. La Francia potrebbe avere interesse anche a un regime change a Tripoli, se si considera che i francesi sostengono il generale Haftar “con armi ed equipaggiamenti militari, venduti a prezzo politico o regalati – come ci spiega la Mercuri – per cui è nell’interesse della Francia avere una Tripoli destabilizzata, per impedire che emerga un rivale forte di Haftar. Avere al governo un attore meno consolidato rispetto a Serraj è quello che vuole il generale, che ormai controlla tutta la Cireanaica e un pezzo di Tripolitania. Non è neppure detto che i francesi, alla lunga convenga tenere il paese unito. A loro interessa soprattutto la Cirenaica, con i suoi ricchi giacimenti petroliferi, dove è Haftar che mantiene il controllo”.

Se in Tripolitania dovessero vincere i ribelli, il governo di Tripoli sarebbe certamente molto più debole. E sarebbe però anche molto più islamico. “I ribelli che stanno provando a entrare nel cuore della capitale – ci spiega Michela Mercuri – sono mossi dall’ideologia islamista, soprattutto Salah Badi, esponente di spicco della coalizione Alba Libica nel 2014. Ma soprattutto, una vittoria dei ribelli potrebbe portare a una situazione di caos sulla costa. E ci sono molte formazioni jihadiste che non vedono l’ora di poter accedere di nuovo alla costa, per poter poi infiltrarsi nei paesi vicini nordafricani. E in Europa”.