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EDITORIALE

Amministrative, la priorità va all'identità

L'11 giugno si vota in molti comuni e anche questa volta i cattolici si chiedono "che fare?". I cattolici che hanno a cuore i princìpi non negoziabili hanno davanti sostanzialmente due opzioni, entrambe legittime. Ma è molto più importante rispondere alla domanda "chi siamo?", qualcosa che viene ben prima della scelta del partito. Ed è per questo che abbiamo lanciato il corso di Dottrina sociale della Chiesa.  

Editoriali 10_06_2017
Elezioni amministrative

Domenica 11 giugno si voterà in tanti comuni. Ogni turno elettorale pone, anche e soprattutto per i cattolici, problemi di posizionamento. Soprattutto per i cattolici, dato che per essi il posizionamento politico non è mai solo un posizionamento politico. Per questo ad ogni turno amministrativo rinasce la domanda “che fare?”. Il fare segue sempre l’essere.

Il buon Padre Cornelio Fabro diceva che l’essenza precede l’esistenza. La prima domanda, anche davanti alle urne delle amministrative non è quindi “che fare”, ma “chi siamo?”. Anche le strategie politiche, quando vogliono essere non solo politiche, dipendono dalla propria identità e dai fini che da essa scaturiscono.

Il primo dato è che anche in questa occasione elettorale i cattolici saranno divisi. Non che la cosa guasti, di per sé. Diventa un problema quando sono divisi sulle questioni fondamentali. Certo, se le azioni intrinsecamente cattive (intrinsece mala) venissero abolite dalla morale cattolica e la Veritatis splendor riscritta; certo, se la Nota Ratzinger del 2002 non solo venisse disattesa, come già accade, ma venisse formalmente abolita e sostituita con altra diversa; certo, se la dottrina dei principi non negoziabili, quindi della legge morale naturale, fosse considerata non più adatta ai tempi e la Evangelium vitae venisse ritoccata … allora sarebbe lecito e possibile dividersi anche sulle cose fondamentali.  Ma finché ciò non accade tutto continua come prima.

Essere divisi sulle cose fondamentali rimane quindi un problema. Ci sono candidati sindaco cattolici – molto impegnati nella realtà ecclesiale dove ricoprono anche ruoli di primo piano – che si presentano in partiti che vogliono eutanasia, ampliamento dell’aborto, gender a scuola, sostegno pubblico all’omosex. E questo è un grave problema. Non per me o per chissachì, ma per loro prima di tutto e per la Chiesa i cui uomini non dicono da tempo più nulla in proposito.

È però anche vero che, al contrario, stanno emergendo forme positive di consapevolezza della necessaria coerenza tra fede e impegno politico. Le sacche che resistono alla protestantizzazione della fede cattolica su questo punto sono in aumento e stanno passando dalla resistenza all’offesa. Sono segni positivi. A Verona l’associazione Città e Famiglia ha organizzato dieci incontri di Dottrina sociale della Chiesa. L’Associazione è nata dopo i due Family Day e intende continuare a portare avanti il discorso dei principi non negoziabili in politica. 

Il Popolo della Famiglia si presenta in molti comuni e i dirigenti locali dicono che c’è un significativo fervore alla base. La scontentezza per le politiche contrarie alla natura umana che ormai rendono obbligatori comportanti eticamente orrendi, assieme alla saturazione davanti alle politiche del male minore o del giusto mezzo che tanto tristemente hanno dato prova di sé in passato, animano dal basso molti fedeli cattolici. Non appoggiati dal clero, che ormai su queste cose sostanzialmente si defila, né tantomeno dai vescovi, questi gruppi lentamente crescono. 

La proposta del Popolo della Famiglia, che solitamente si presenta da solo e che, prevedibilmente, in caso di ballottaggio lascerà libertà di voto ai suoi elettori, trova un ostacolo di tipo politico in chi teme il voto “inutile”, come viene chiamato. In certi casi togliere voti all’unica parte che potrebbe fermare un candidato progressista aperto ad ogni diavoleria contro la vita e la famiglia, può di fatto aiutare il nemico. Ecco perché molti cattolici voteranno liste civiche che diano una certa sicurezza di fare da barriera a sindaci radicali, magari siano essi stessi cattolici. Ed ecco perché capilista contrari a sindaci progressisti si premurano di collocare nelle loro liste esponenti del mondo cattolico più tradizionalista onde intercettare quei voti. 

Queste due logiche sono entrambe comprensibili. C’è chi dice basta ai compromessi, abbiamo bisogno di magari pochi consiglieri ma determinati e con le idee chiare piuttosto che entrare in un calderone con la motivazione di bloccare l’avversario più pericoloso ma, così facendo, rimanere poi anche invischiati in una maggioranza troppo composita culturalmente e scarsamente determinata sulle politiche che fanno veramente la differenza. E c’è chi dice, invece, che avere qualche consigliere che faccia da portabandiera della causa non serve a niente, se questo comporta il rischio di indebolire il fronte contrario ai candidati radical-libertari e favorevoli ad ogni nuovo “diritto civile” che il desiderio collettivo e pianificato si inventi in futuro.

I due ragionamenti dovranno in futuro trovare un punto di incontro. Spesso nei comuni ci sono candidati cattolici convinti dei principi non negoziabili collocati nelle liste elettorali sia secondo la prima soluzione che secondo la seconda. Candidati che, magari, hanno organizzato insieme la conferenza di Silvana De Mari o di Massimo Gandolfini, oppure che insieme hanno partecipato alle veglie delle Sentinelle in Piedi, o che leggono la Nuova Bussola Quotidiana e sono andati ad ascoltare Vittorio Messori sul tempo di Maria. 

Per questo più che sulle candidature politiche alle prossime amministrative, dobbiamo porre lo sguardo su questo processo che sta avvenendo nel contesto pre-politico. Dobbiamo aiutarlo a procedere e a “quagliare”, dobbiamo animarlo e irrobustirlo con la formazione alla Dottrina sociale della Chiesa come sta facendo la Nuova Bussola Quotidiana con le lezioni dell’arcivescovo mons. Crepaldi - lezioni a cui è sempre possibile iscriversi - o come sta facendo l’Osservatorio Cardinale Van Thuân con le sue Scuole in tutta Italia. 

Ci sono cattolici che non si pongono più il problema del loro “chi siamo?”, anzi che considerano sbagliato porselo perché proprio di un’epoca costantiniana. Ma crescono quelli che se lo pongono questo problema e solo se questa tendenza aumenterà si risolverà poi anche lo sbocco politico. L’esistenza segue sempre l’essenza.