Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
ROMA

Aria di eutanasia al Policlinico Gemelli

Una "strana" intervista del neurologo Sabatelli sulle procedure al Gemelli lascia intendere che venga accelerata la morte di alcuni pazienti. La successiva ritrattazione e le precisazioni non fugano i dubbi.

Vita e bioetica 17_06_2014
Il Policlinico Gemelli

Minisoap al Gemelli di Roma. Nella prima puntata il prof. Mario Sabatelli, neurologo del Policlinico Gemelli di Roma e responsabile del centro SLA dello stesso policlinico, è intervistato dal Fatto Quotidiano sul caso di una malata di SLA che si è rifiutata di vedersi intubata. I medici si sono dunque astenuti dal praticarle la ventilazione artificiale. Sabatelli a tal proposito dichiara: «Trovo assurdo e violento che il destino di una persona che sta vivendo un dramma così particolare com’è di vivere con un tubo in gola, debba essere deciso da qualcuno seduto dietro a una scrivania. È violento, illogico, irrazionale, illegittimo. Per questo noi abbiamo già praticato la sospensione del trattamento – naturalmente col consenso informato - a pazienti sottoposti alla ventilazione non invasiva. E in un caso abbiamo avviato la procedura con un tracheotomizzato. Io non ho paura: stiamo facendo il bene dei pazienti». Alla giornalista che gli chiede se ha paura di finire incriminato come il dott. Mario Riccio, che aiutò Pier Giorgio Welby a morire, il professore risponde: «Riccio mi pare che sia stato prosciolto, qualcosa significherà». 

Seconda puntata che si svolge sulle pagine di Avvenire. Sabatelli chiarisce che è stato frainteso e le sue parole manipolate. Infatti specifica che se ci sono crisi respiratorie occorre intervenire con varie terapie, tra cui la tracheotomia. Essendo terapia può essere legittimamente rifiutata dal paziente stesso. Oltre al consenso (e ad altre due condizioni che qui per brevità non citiamo), il professore del Gemelli tiene a precisare che la ventilazione forzata per essere applicata deve soddisfare il criterio della proporzionalità. In altre parole ci deve essere una proporzione tra i mezzi terapeutici adoperati con relativi effetti collaterali e i benefici sperati. Il gioco deve valere la candela.

Il criterio di proporzione per il medico romano deve essere deciso solo ed unicamente dal paziente stesso: “Io lo informo soltanto, non me la sento di consigliarlo”. Invece – secondo il Codice di deontologia medica all’art. 16 – il criterio deve essere in prima battuta oggettivo: la proporzione tra effetti negativi e benefici, nel caso concreto, deve essere valutata facendo affidamento alla letteratura scientifica e solo successivamente tenendo conto dei desiderata del paziente, desiderata che però necessariamente devono essere considerati (ad es. è solo il paziente che può darmi un responso il più preciso possibile sul dolore che sta provando). Rimane però il fatto che qualora anche una terapia ritenuta proporzionata al caso venisse rifiutata, il medico per legge dovrebbe comunque astenersi dal somministrarla.

Qualche considerazione a corollario di questa vicenda. Dunque una terapia prima di venire somministrata, secondo una erronea ma ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 32 della Costituzione, può venire legittimamente rifiutata dal paziente. La ventilazione come  l’alimentazione e l’idratazione non sono terapie (non curano patologie), bensì mezzi di sostentamento vitale, e dunque di per se stesse non potrebbero essere rifiutate. Però dato che la loro somministrazione il più delle volte avviene tramite un intervento clinico (tracheotomia, Peg), questo intervento può essere rifiutato. Occorrerebbe quindi una leggina che specificasse che ventilazione, alimentazione e idratazione, al di là del mezzo di somministrazione, non sono sottoposte al vincolo del consenso del paziente.

Quindi una terapia prima di venire somministrata può essere rifiutata (se il paziente non è vigile si deve agire nel suo interesse e perciò si procede al trattamento se utile). Al contrario in costanza di terapia – il paziente è già intubato – quest’ultimo non può chiedere di interrompere la terapia perché l’intervento del medico per togliere il tubo qualificherebbe il reato di omicidio del consenziente. Quindi la legge ti dice: se vuoi puoi rifiutare anche le terapie salvavita, però non chiedere che qualcuno (il medico) ti dia una mano per toglierti la vita. Devi fare tutto da solo.

Dal piano giuridico passiamo a quello etico. Dato che la vita è un bene indisponibile, laddove ci sono cure salvavita occorrerebbe praticarle sempre anche se non c’è il consenso del paziente (affermazione questa che sappiamo irrita non poco la nostra indole iperlibertaria). A margine: le terapie salvavita sono sempre proporzionate. Anche il diritto – seppur come abbiamo visto esista il diritto al rifiuto delle cure – in un paio di casi procede in questa direzione (le antinomie non si contano nel nostro ordinamento giuridico).

Ad esempio il tentato suicida che vuole buttarsi dal cornicione può essere legittimamente preso a forza e strappato dal cornicione dal poliziotto. In questo caso il tentato suicida non può chiedere la lesione di un suo diritto alla morte appellandosi alla violenza privata perché tale “diritto” non esiste. E dunque, se è legittimo imporre di vivere al tentato suicida, perché non è legittimo imporre di vivere al paziente? Altro caso. Ci sono ipotesi disciplinate dalla legge dove i Trattamenti Sanitari Obbligatori possono essere effettuati su persone capaci di intendere e volere: le vaccinazioni per evitare contagi ad esempio su persona adulta. In questi casi il trattamento è obbligatorio anche se il soggetto è dissenziente ed anche nel caso in cui non sia in pericolo di vita. E allora: posso costringere una persona a curarsi se la cura benefica l’intera società ed anche se la terapia non è salvavita, ma non posso costringerla se benefica solo lei e rischia di morire? La mia vita ha valore solo se ha valore per terzi?