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L'ANALISI

Banche fragili, governo incapace Che disastro

Per aiutare le banche, il governo ha promesso il varo di uno strumento di garanzia che ha avuto anche il via libera dalla Commissione europea sempre pronta a bloccare ogni forma di aiuto di Stato. E anche questo via libera irrituale è stato una conferma della gravità della situazione. L’ennesima dimostrazione delle sabbie mobili in cui finisce la politica quando interviene goffamente all’interno del sistema economico.

Economia 06_07_2016
Banche italiane fragili

Quanto è avvenuto negli ultimi giorni è l’ennesima dimostrazione delle sabbie mobili in cui finisce la politica quando interviene goffamente all’interno del sistema economico. La dimostrazione è nel fatto che le dichiarazioni del governo sulla volontà di intervenire per proteggere i risparmiatori e salvare le banche non sono state accolte con l’atteso sospiro di sollievo e di ritrovata fiducia, ma come la dimostrazione della gravità dei problemi e della difficoltà della loro soluzione. 

E così, il fatto di aver lanciato una ciambella di salvataggio è stato considerato come la conferma di un concreto rischio di annegamento. È questa una prospettiva che si ripropone spesso. Per esempio, quando una banca centrale abbassa i tassi di interesse per tentare di rilanciare l’economia. Ebbene, nella maggior parte dei casi il messaggio che viene recepito è che ci si trovi in acque ancora peggiori di quanto si ritenesse.

Per le banche italiane il governo ha promesso il varo di uno strumento di garanzia che possa aiutare il superamento di un momento particolarmente delicato. Uno strumento che ha avuto anche il via libera dalla Commissione europea sempre pronta a bloccare qualunque forma di aiuto di Stato. E anche questo via libera irrituale è stato una conferma della gravità della situazione. E i problemi per le banche non sono né pochi né limitati. 

1) In primo luogo, c’è un problema generale che riguarda tutto il sistema bancario europeo: è quello dei tassi di interesse, mai così bassi e per molti titoli di Stato ormai sotto zero. Si è così prosciugata una delle fonti di redditività, il margine di interesse, che da sempre è stata una dei pilastri dei guadagni delle banche.

2) In secondo luogo, è arrivata sempre più dirompente la rivoluzione dell’informatica e delle telecomunicazioni. Ormai gran parte delle operazioni viene svolta in maniera automatica via internet e gli sportelli delle banche, che erano un significativo patrimonio sono diventati un costo da sostenere.

3) Il mutare dello scenario operativo, insieme alle operazioni di fusione e concentrazione, ha portato al fatto che le banche hanno un numero di dipendenti sovradimensionato rispetto alle attuali e soprattutto future necessità. Ma ridurre il personale richiede, giustamente, costi aggiuntivi e tempi non brevi.

4) Ci sono poi alcune situazioni particolari che aumentano la sfiducia verso le banche e i banchieri. Pensiamo a Unicredit, dove ci sono voluti due mesi per nominare un nuovo amministratore delegato e per arrivare alla scelta di un manager francese. Pensiamo al Monte dei Paschi di Siena, gestito per anni come un braccio operativo della politica e che ora si trova a pagare i conti di affidamenti di favore, di crediti inesigibili e di operazioni condotte solo per finalità di potere.

5) Ultimo, ma non meno importante, c’è una politica del governo e della Banca d’Italia quanto meno illusoria. Si è imposta una riforma delle banche popolari, costringendo le più grandi a diventare società per azioni, senza distinguere tra quelle ben gestite e quelle dove erano stati compiuti veri e propri reati. È stata varata una riforma del credito cooperativo che è rimasta a mezz’aria anche qui sacrificando due cardini di questi istituti: la solidarietà e la vicinanza ai territori.

Non può consolare il fatto che anche altri sistemi bancari abbiano difficoltà. Così che la più grande banca tedesca abbia in cassa una massa di derivati esplosivi. Nonostante le difficoltà nel suo insieme il sistema italiano resta sostanzialmente solido se si guardano i requisiti patrimoniali e l’osservanza dei parametri europei. Ma ci sono con alcune grossi elementi di incertezza che periodicamente vengono alla ribalta. Il caso del Monte dei paschi è sicuramente il più clamoroso e anche il più imbarazzante per il governo: fino a qualche anno fa era una banca sostanzialmente pubblica, gestita da persone nominate direttamente da una politica locale invariabilmente dominata dalla sinistra nelle sue varie forme Pci-Pds-Ds-Pd.   

Ora che anche Mps deve fare i conti con il mercato è evidente che i problemi non possono che venire a galla. Dieci anni fa, al massimo della sua voglia di grandezza, Mps acquisiva per nove miliardi di euro Banca Antonveneta. Ora tutto il gruppo vale in Borsa poco più di un miliardo. Un sistema di potere è crollato lasciando tante macerie.