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DIVAGAZIONI

Biffi, Torino e lo spirito dei tempi

Nel carteggio con una suora carmelitana pubblicato di recente, il compianto cardinale Giacomo Biffi riserva anche commenti spietati sulla "torineseria" storica, civile, ecclesiastico-progressista. Ma c'è un'altra Torino capace di ribaltare il giudizio e che sfuggì a Biffi....

Cultura 04_08_2017
Il cardinale Giacomo Biffi

Il recente libro del cardinale Giacomo Biffi Lettere a una carmelitana scalza - 1960-2013 (a cura di E. Ghini, Itaca, Castel Bolognese 2017) è un libro fresco di umorismo e di saggezza.

Ma è un libro che può ingannare perché la verità del personaggio è più complessa: Biffi sapeva anche rimanere ostinatamente serio e rifiutare l’umorismo che non partiva da lui; probabilmente per lui l’umorismo era un’interfaccia per evitare di mettere in mostra le reazioni emozionali e interiori, un po’ come la musica di Rossini; infine l’umorismo presente nel libro è solo un generoso assaggio ma non riporta delle battute che invece meriterebbero di essere immortalate, come l’avversione ai “piani pastorali” che, spiegava, erano quanto nella Chiesa Cattolica era rimasto dei piani quinquennali dell’ex Unione Sovietica!

Insegnamenti spirituali e teologici a parte, alcune valutazioni su persone o gruppi sono autentiche carezze contropelo: si veda la valutazione su padre Davide Maria Turoldo (6 luglio 1975, p. 113) o quella più benevola su don Luigi (Bettazzi), buono e candido da non accorgersi delle devastazioni che si vanno compiendo, per cui «chi si sente di assumersi il triste compito di disincantarlo?» (1 ottobre 1974, p. 111). E non si tratta solo di confidenze private, perché Biffi di fronte a molti sacerdoti - ero presente e lo ricordo bene - disse con studiata noncuranza che lo “spirito ambrosiano” era finito con il card. Colombo: già, e il (torinese) card. Martini...?

Nei toni lievi è disimpegnati del divertimento estivo - dunque chi legge non prenda troppo sul serio - vorrei portare l’attenzione sul giudizio spietato di Biffi su Torino, o meglio sul suo scontro con la “torineseria” storica, civile, ecclesiastico/progressista.

Bisogna premettere che nel 1974 a Milano Biffi fu nominato vicario episcopale per la cultura, dopo aver obiettato al card. Colombo: «Io non so cos’è la cultura» ed essersi sentito rispondere: «Non ti preoccupare: neppure gli altri lo sanno» (p. 8). Così si trovò «molto desolato» perché «la cultura non mi hai mai interessato» (1 ottobre 1974, p. 111) e decise che «in fondo si trattava di perder tempo con eleganza» (15 aprile 1977, p. 141). Estese l’ironia anticulturale anche ai colleghi dell’ufficio catechistico diocesano, ai quali era inutile domandare spiegazioni dal momento che «son convinti di proporre “lo stile educativo di Dio”» (24 gennaio 1973, p. 95). Nel 1975 l’Università Cattolica organizzò a Loreto una settimana sulla cultura cristiana. La prospettiva di parteciparvi fu per Biffi una «angoscia» (12 settembre 1975, p. 125), però ci andò e scrisse di aver udito cose splendide, cose discutibili e «cose decisamente sciocche».

Ma - ecco lo scontro con la torineseria - «Le cose più sciocche, più arrese ai miti del tempo, più mondane, le ho sentite dai rappresentanti ufficiali della Chiesa torinese. Mi sono confermato nell’idea che da Torino provengono da sempre i principali guai d’Italia: il Risorgimento, la monarchia sabauda, il comunismo, le automobili, le congregazioni religiose ecc.» (7 novembre 1975, p. 126). È il giudizio più viscerale, più duro e più globale di tutto il libro.

Da dove nasceva tale giudizio? Dalla seccatura di presenziare alla settimana? Dallo spirito milanese in competizione con Torino? Da riflessioni teologiche? Può darsi, ma Biffi senza saperlo era in buona compagnia. Nel 1975 - si noti: lo stesso anno! - un prete “impegnato” di Torino fu invitato a parlare a Genova da un certo don T. senza che il card. Siri ne fosse al corrente. Saputo dell’iniziativa, il cardinale incaricò il vicario generale di bloccarla - non so con quale esito - con un biglietto che iniziava così: «È torinese, il che contiene una indicazione forte», cioè di perplessità negativa (cf Nicla Buonasorte, Siri Tradizione e Novecento, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 411-412).

Sono nato a Torino e la mia torineseria non è nella linea di quella allora percepita da Biffi, per cui, appena letto quanto sopra, ho provato un senso di complicità tipo: finalmente qualcuno ha il coraggio di dire queste cose! Poi però ho pensato: no, la Torino ecclesiastica non merita un giudizio così sommario e ingiusto. Per cui bisogna rispondere a Biffi con un po’ di documentazione e un po’ di ironia. E lui riderà dal cielo.

Occorre sapere che a Torino c’è una torineseria, la quale, tra le altre, comporta due forti caratteristiche: a) la convinzione di anticipare il futuro (tutti o quasi, dalla curia al comune, hanno questa convinzione e talvolta fu vero come per il cioccolato, le automobili, la moda, l’industria cinematografica ecc.); b) una «risentita vocazione pedagogica» verso la Penisola «che poco l’ama e che essa poco capisce» (V. Messori, Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno. Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p. 10). Insomma: Torino “signora maestra aggiornata”. Se decliniamo tutto questo in una stagione torinese di progressismo ecclesiastico, possiamo immaginare contenuti e modi di quanto Biffi udì nel 1975 (sulla torineseria clicca qui).

Alcune valutazioni di Biffi su Torino sono laiche e storiche. Sul risorgimento il commendator Migliavacca, l’alter ego letterario di Biffi, ormai invecchiato «ha abbastanza buon senso da capire che se l’unità d’Italia, così come concretamente si è fatta, è stata un bel guaio, disfarla sarebbe adesso un guaio molto più grave» (Il quinto evangelo, ESD, Bologna 2008, p. 11); dunque le frasi del 1975 erano “bollenti spiriti” e “giovanile ardore”. Sulle automobili, Biffi ne aveva una «veneranda e inefficiente come un cardinale» (9 agosto 1974, p. 109), che lo lasciò a piedi (7 agosto 1978): forse era una FIAT e allora tutto si spiega. Sul comunismo è vero che Antonio Gramsci († 1937) fu attivo a Torino e ivi si incontrava con Palmiro Togliatti († 1964).

Altre valutazioni sono ecclesiastiche. Sulle congregazioni religiose è meglio tacere, altrimenti bisognerebbe ammettere che per Biffi i salesiani furono un guaio per la Chiesa e per l’Italia e questo - siamo seri! - non lo si può nemmeno pensare.

Quanto alle cose sciocche, mondane, arrese ai miti del tempo e proclamate dai rappresentanti ufficiali della Chiesa torinese, siccome Biffi non specifica, non possiamo valutare: possiamo solo ritenere che per lui erano tali. A Torino si era verso la fine dell’episcopato del card. Michele Pellegrino (1965-1977), uomo di studio, di preghiera e di serietà, ma con scelte di governo in parte obbligate come l’intervento sul sociale in nome della Chiesa esperta in umanità, e in parte opzionali come la liberazione di tendenze progressiste, nella convinzione di avvicinarsi alla Chiesa del Nuovo Testamento, dei Padri, del Vaticano II e di colloquiare con il mondo moderno.

Il risultato - normale perché è impossibile reagire mantenendosi in equilibrio - fu una eccessiva secolarizzazione, a cominciare dall’abito ecclesiastico. Giravano poi frasi ricondotte a Sua Eminenza, come l’opportunità di ordinare uomini sposati perché l’Eucaristia è più importante del celibato e «una volta definì l’Humanae Vitae “un incidente di percorso del Vaticano”. Un suo ex collaboratore mi implorò a lungo di non divulgare quella frase» (F. Bolgiani, Intervista di E. Boffano, Tutto chiesa e società, La Repubblica, Torino 2 settembre 1989, p. XII). Relativamente a ciò che circola oggi, sono frasi da educanda in pia ricreazione, ma allora...

C’era e c’è però un’altra Torino, capace di ribaltare il giudizio e che sfuggì a Biffi: la Torino che nel secolo XVIII inventò la Novena di Natale; la Torino dei tanti santi “moderni”, socialmente attivi ma fermi nella dottrina, rispettosi del governo ma critici su di un certo risorgimento, santi evocati da Giovanni Paolo II in una visita a Torino: «la Chiesa in tutto il mondo si domanda (...): perché questa effusione dello Spirito Santo, perché tanti santi moderni, della nostra epoca, del secolo scorso, perché tanti santi appunto qui in Torino?» (Allocuzione del 4 settembre 1988). E oltre ai santi vanno ricordate eminenti figure sacerdotali: lo storico Tuninetti ne ha raccolte ben 60 in Preti torinesi tra i 1700 e il 2000: figure significative.

Questa Torino era più a destra di Biffi ed esigeva dal chierico che, prima di indossarli, baciasse la talare e il collare (inimmaginabile un Biffi che inizia così la giornata!) (L. Boccardo, Regolamento di vita clericale e sacerdotale); questa Torino non avrebbe mai sopportato l’ammissione scherzosa: «io, che sono sempre stato tendenzialmente poligamo» (20 dicembre 1974, p. 115), pretendendo invece che per la strada non si guardassero le donne; infine non avrebbe mai sopportato la compiaciuta pigrizia biffiana dal momento che, secondo la testimonianza di don Bosco, il modo di riposarsi del Cafasso era di cambiare lavoro ecc.

Oggi però Biffi non scriverebbe più quello che scrisse: sembra infatti che Torino, diventata “come tutti gli altri” non indichi più il futuro e non dia più lezioni alla Penisola. Anche a Torino, come altrove e a dispetto delle passate punte di aggiornamento, ci sono messe in latino e giovani preti che si rimettono in talare con i desolati sospiri dei responsabili. I Vescovi siciliani hanno rubato a Torino il primato di dire che si possono ammettere gli irregolari all’Eucaristia. La sindaco Appendino programmando alcuni giorni di dieta vegana nelle mense scolastiche arriva buona terza o quarta, senza più la possibilità di anticipare il futuro e dare lezioni alla Penisola. Per tacere poi che sulla metropolitana Torino avrebbe molto da imparare da Roma, da Milano e... da Brescia. Insomma, se a san Gregorio Magno bastavano le precipitazioni eccessive d’estate per vedervi lo scompaginamento delle stagioni e un segno della fine dei tempi (Omelie II, XXXV,1 ), molto di più oggi, con Torino che non indica più il futuro e che non è più la “signora maestra” d’Italia, l’ordine delle cose è talmente scompaginato che siamo proprio alla fine del mondo.