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REFERENDUM

Bologna, le ragioni di una sconfitta

Nel referendum di Bologna contro il finanziamento alle scuole paritarie la bassa affluenza mitiga la sconfitta di chi vuole il finanziamento comunale. Ma l'attacco alla libertà d'educazione è appena iniziato. 

Politica 28_05_2013
Referendum di Bologna

La bassa affluenza mitiga la sconfitta del comitato B per il finanziamento del contributo da un milione di euro che il Comune da 20 anni destina alle scuole paritarie private. In gran parte cattoliche. Ma non deve far dimenticare che il comitato A, autoconvocato, sgangherato, massimalista e radicale, ha preso comunque più voti.

Certo, la consolazione è che per il sindaco felsineo Virginio Merola dal risultato delle urne non arriva un segnale che lo costringa a mettere da parte la sussidiarietà. Troppo poco il 28% dei votanti, e di questi solo il 58% che si sono espressi per il sì, per farlo desistere dal confermare il sistema pubblico integrato che ha funzionato fino ad oggi. Però se vittoria di misura dell'A c'è stata, è anche vero che, ancora una volta, è la maggioranza che deve subire le pressioni di una minoranza. Una minoranza agguerrita di soli 50mila elettori su 290mila aventi diritto. Un'inezia, dal punto di vista elettorale. Una spina nel fianco dal punto di vista politico.

Ieri a Bologna, nelle fila del comitato B, capeggiato da una parte del Pd, i partiti di centrodestra e un arcipelago variegato di società civile che va dal mondo accademico al laicato cattolico fino al mondo della cooperazione bianca e rossa, nessuno aveva voglia di festeggiare al pericolo scampato. Perché tutti sanno perfettamente che il fronte di una nuova battaglia si è aperto. Ed è quello della lotta alla libertà di educazione. Che però in questa prova generale è stata affrontata con le armi spuntate dell'indifferenza.
La vittoria risicata dell'A certifica che il 70% dei bolognesi è indifferente alla questione. «Il fatto è che questo modello ha funzionato, ma ora ne serve uno che esalti davvero la sussidiarietà - spiega alla Nuova Bussola Quotidiana il professor Stefano Zamagni a capo del comitato B -. Lo ripeto da tempo: servono politiche che mettano le famiglie in condizione di decidere dove mandare i propri figli a scuola. Un voucher da dare alle famiglie e non un contributo da erogare alle scuole. Solo così si arriverà alla vera libertà di educazione».

Intanto però il cammino è irto di ostacoli e non solo perché adesso la parte più anticlericale della sinistra ha affilato le armi e ha visto che è in grado di impensierire forze che seppur liberali non hanno difeso come avrebbero dovuto quei principi. Se ne è resa conto anche l'Agesc (Associazione genitori Scuole Cattoliche) che ieri ha commentato senza trionfalismi il pericolo scampato. «Il risultato del referendum tende a negare la libertà di educazione e la sussidiarietà, principi sanciti dalla Costituzione, e rappresenta una sconfitta delle famiglie e dei bambini bolognesi. Nonché un rischioso precedente per tutto il Paese, visto che i referendari hanno espresso l'intenzione di riprodurre l'iniziativa in altre città, generando nuove inutili spese e nuovi scontri e divisioni ideologiche».

Le parole del presidente nazionale Roberto Gontero sono come un segnale preoccupante: «L'accentuato astensionismo ha costituito un fatto grave. Su questo, si rende necessaria una riflessione anche tra i cattolici. Ma su questo i referendari dovrebbero riflettere, prima di intraprendere percorsi analoghi. È urgente una massiccia mobilitazione e un ampio dialogo sulla scuola, evitando prese di posizione ideologiche stataliste».

Già, i cattolici. Perennemente divisi anche su queste questioni, il laicato cattolico ha provato a gridare incontrando però una scarsa adesione da parte del clero. La dimostrazione sta nel fatto che il tema della «libertà di educazione, evidentemente, non rappresenta un elemento di interesse per la maggioranza dei cittadini bolognesi, di qualunque estrazione». Anche cattolici.
Il fatto è che in pochi hanno gridato e come sapeva perfettamente Chesterton «la cosa più saggia al mondo è gridare prima di essere stati feriti. Non ha senso gridare dopo. Specialmente dopo essere stati feriti mortalmente».

In questo caso il laicato cattolico, che non è riuscito a coinvolgere il popolo delle parrocchie e dei movimenti in questa battaglia è ferito mortalmente. E deve decidere da che parte stare. Anche perché dall'altra parte le idee sono molto chiare. A sostenere il teorema A c'erano anche le lobby gay rappresentate da Arcigay e Arcilesbica. Perché una associazione che si batte per i diritti degli omosessuali deve interessarsi alla gestione delle scuole dell'infanzia? La risposta potrebbe trovarsi dietro l'inquietante documento presentato dal Ministero delle Pari Opportunità in collaborazione con l'ufficio Onu anti discriminazioni razziali.

Nel piano di strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere per il biennio 2013-2015 vi si legge che «occorre progettare percorsi innovativi di formazione in materia di educazione alla affettività che partano dai primi gradi dell'istruzione, proprio per cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell'infanzia a costruire un modello educativo inclusivo, fondato sul rispetto delle differenze, che costituisca una risorsa non solo per chi fa parte della comunità LGBT ma per tutti i bambini».

E per questa strategia le scuole materne cattoliche sono un evidente pietra di inciampo. Meglio eliminarle alla radice. Con buona pace dei tanti cattolici che fanno finta di non aver compreso quale sia la posta in gioco. Molto più del milione di euro che il Comune di Bologna in buona fede ha difeso dagli attacchi delle lobby.