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Boston, un attentato in cerca d'autore

Sono pochi gli elementi certi dell'attacco terroristico compiuto lunedì durante la maratona di Boston. Le bombe a basso potenziale sono state confezionate per provocare il maggior numero di feriti. Estremisti islamici, "miliziani" americani o un pazzo dinamitardo?

Esteri 17_04_2013
L'attentato alla maratona di Boston

I pochi elementi certi e le molte indiscrezioni circa l’attentato di Boston di lunedì 15 aprile - che ha provocato tre morti e 176 feriti, tra cui alcuni molto gravi - rendono molto difficile l’analisi della possibile matrice del nuovo “atto di terrore” (come l’ha chiamato il presidente Barack Obama) che ha colpito gli Stati Uniti. In attesa di sapere dall’FBI, che ha preso le redini delle indagini coordinando una decina di agenzie e corpi di polizia diversi, se si tratta di un attentato effettuato da estremisti islamici, “miliziani” americani o da un pazzo dinamitardo, vale la pena mettere insieme i pochi dati emersi nelle ultime ore circa gli ordigni impiegati.

Le bombe erano certamente a basso potenziale considerati i danni limitati provocati a edifici e infrastrutture ma sono stati confezionati per provocare il maggior numero possibile di feriti. I medici che hanno visitato i 3 morti e curato i 176 feriti hanno subito riferito di un ampio utilizzo di chiodi e biglie d’acciaio, “ingredienti” che denotano la volontà di fare scempio delle carni. Nel mirino dei terroristi (o del terrorista) c’era la gente comune, non obiettivi o personalità specifiche né edifici federali. La ridotta quantità di esplosivo potrebbe indurre a pensare che i terroristi fossero “improvvisati”, cioè non una cellula “professionale” organizzata e dotata di ampie disponibilità di supporto e denaro ma anche questo particolare non aiuta da solo a stabilire la paternità dell’azione.

Secondo la Cnn (che cita fonti di polizia) gli ordigni erano confezionati all’interno di pentole a pressione, nascoste in due zaini, per massimizzare i danni anche con una ridotta quantità di esplosivo. ''E' una bomba - spiega l'ex generale del Genio Fernando Termentini, uno dei massimi esperti italiani del settore - alla portata di chiunque abbia un minimo di preparazione, non ci vuole una sofisticazione particolare e basta anche un singolo individuo per costruirla e piazzarla''. La pentola, spiega Termentini, ''funziona da contenitore sigillato ermeticamente ed amplifica la potenza esplosiva del contenuto, in questo caso schegge metalliche, chiodi e cuscinetti a sfera.

Per la Cbs gli investigatori "hanno trovato anche un circuito elettronico che potrebbe indicare l'uso di un timer per attivare l'esplosione della bomba". Entrambi gli ordigni erano stati abbandonati su un marciapiede per farli sembrare spazzatura ma gli investigatori non escludono per ora neppure l’ipotesi che la detonazione sia stata provocata da un radiocomando a distanza. “I materiali impiegati nella preparazione dell'ordigno sono tutti di facile reperibilità: pentole, chiodi, cuscinetti a sfera, schegge, radiocomandi come quelli dei modellini di auto per ragazzi. Meno agevole - osserva Termentini - procurarsi il detonatore e proprio su questo elemento credo si concentreranno le ricerche degli investigatori''.

Bombe del genere sono state utilizzate in Iraq e Afghanistan dai jihadisti e in attentati compiuti da diversi movimenti in India, Nepal e Pakistan ma anche in Italia dagli anarchici insurrezionalisti. Di fatto anche queste informazioni sul tipo di ordigno non permetterebbero (per ora) di far luce sulla matrice dell’attentato anche se il New York Times ha ricordato che nel 2010 Faisal Shahzad, cittadino statunitense, aveva tentato di far esplodere un'auto a Times Square utilizzando una pentola a pressione con dentro 120 fuochi artificiali nell'arsenale artigianale collocato a bordo del veicolo. Gli ordigni rilasciarono fumo ma non esplosero.

Un alto funzionario dell'amministrazione Obama ha spiegato alla Cnn che al momento non c'é alcun indizio di "un collegamento straniero o reazione di al Qaeda" e del resto né la rete guidata da Ayman al-Zawahiri né altri gruppi jihadistii hanno rivendicato l’attentato e i talebani pakistani hanno addirittura precisato la loro estraneità a quanto accaduto a Boston. La pista islamista (come le altre) non può essere però esclusa ma a far pensare che a Washington la considerino plausibile contribuiscono alcuni dettagli tutti da interpretare. Il segretario di Stato John Kerry ha incontrato ieri il collega saudita Saud Al-Faisal ma una “photo opportunity” che era in programma con i media è stata cancellata all'ultimo momento. Il Dipartimento di Stato ha giustificato la marcia indietro affermando che l'agenda di Kerry era sovraffollata ma la decisione desta qualche dubbio specie considerando le voci di uno o due sospetti o testimoni sauditi interrogati dalla polizia. Inoltre il re saudita Abdallah ha condannato gli "atti di terrorismo" che hanno colpito Boston con un telegramma inviato al presidente Obama nel quale il monarca ha affermato che "chi li ha perpetrati rappresenta solo se stesso, perché né un credo religioso né una morale possono giustificare atti del genere". Una dichiarazione che assomiglia alla presa di distanze da un gesto compiuto da suoi connazionali.

Il sito d’informazione israeliano Debka, vicino agli ambienti dell’intelligence di Gerusalemme, scriveva ieri che l’FBI sarebbe sulle tracce "di tre sauditi, molto probabilmente legati ad al Qaeda". Due sarebbero già stati fermati mentre il terzo sarebbe in fuga ma tutti apparterrebbero a illustri famiglie saudite. Il sito aggiunge che la famiglia dei tre "sospetti, appartiene a una tribù della provincia di Asir, che confina con lo Yemen", particolare che per Debka significherebbe che "al Qaeda nella Penisola Arabica (branca locale dell'organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden, già chiamata in causa in falliti attentati contro gli Stati Uniti) sarebbe riuscita a introdurre una cellula negli Usa".

Al di là dei risultati che potranno emergere dalle indagini l’attentato di Boston consente anche di evidenziare almeno due aspetti. Il primo è che  dopo l’11 settembre 2001 (3 mila morti) né i terroristi interni né quelli internazionali sono più riusciti a effettuare con successo sul territorio statunitense attentati eclatanti o su vasta scala. Il secondo invece conferma che gli Stati Uniti, come il resto del mondo, non sono immuni dalla minaccia terroristica.