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MORTE DI STATO

Caro Lorenzo le Dat sono un tranello

Avvenire pubblica la risposta di 11 capigruppo parlamentari al giovane Lorenzo Moscon, che aveva implorato di non legiferare sul "fine vita". Ma purtroppo una legge che ammetta l'autodeterminazione al posto di ribadire che la vita è sempre e in ogni caso indisponibile, pone già le premesse all'eutanasia. 

-FABO, PREGHIERE E STRUMENTALIZZAZIONI   di A. Zambrano

Editoriali 07_03_2017
Fine vita

Usare la lettera di Lorenzo Moscon, giovane affetto da triplagia spastica che implora la politica di non approvare una norma sull’eutanasia, per far passare le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) come una buona legge è la risposta peggiore che si possa dare a quanti come lui temono la morte di Stato. Peggiore, perché non fa che calmare le acque quando c’è poco da stare sereni. Avvenire di domenica apriva in prima pagina titolando “Mai la morte di Stato, 11 capigruppo rispondono all’appello di Lorenzo”, per assicurare a Moscon che si batteranno per l’introduzione di una legge che non abbia alcun senso eutanasico. Peccato che solo nel fatto di accettare una norma sul “fine vita” c’è già un tarlo enorme destinato ad aprire le porte alla “dolce morte”. 

Eppure, già nel 2009, dopo l'omicidio per fame e sete di Eluana Englaro, i parlamentari cattolici, spaventati dalla possibilità che fosse introdotta una norma sull’eutanasia proposero le Dat come compromesso. Il testo vietava sì la sospensione di alimentazione e idratazione, ma dovendo specificare “tranne in alcuni casi”, perché, ad esempio, quando il paziente è ormai in agonia non ha senso nutrirlo. Perciò, l'unica via d’uscita, come spiegarono molte associazioni, fra cui Medicina e Persona e Verità e Vita, era quella di battersi affinché nessuna norma in merito fosse approvata perché “regolamentare la vita e la morte patteggiandole significa averne già accettato la relativizzazione”. A maggior ragone si dovrebbe ribadire lo stesso, visto che ora le Dat stabiliscono addirittura che alimentazione e idratazione sono cure che si possono rifiutare in qualunque momento.

In ogni caso, una norma che preveda di stabilire in anticipo il tipo di trattamento che si desidera non è solo pericolosa ma di fatto ammette che la vita sia disponibile. La scusa dell’accanimento terapeutico poi, quando il pericolo è quello opposto dell’abbandono terapeutico o dell’omicidio per fame e sete, non è solo ridicola ma pericolosa. L’unica legge possibile dovrebbe ribadire che la vita è indisponibile e va tutelata dal concepimento alla morte naturale, insistendo sul fatto che a partire da questo assunto siano i medici a dover decidere su ogni singolo caso insieme ai parenti e se possibile al paziente. Al contrario si apre il pertugio alla diga della morte (basti vedere cosa accade in Francia e in Spagna). Come prevedere infatti in anticipo tutte le situazioni in cui ci si potrebbe trovare decidendo quali trattamenti si desidera e quali no? Come fare se trovandosi in una circostanza che si riteneva insopportabile si cambiasse idea senza essere in grado di esprimerla? Chi deciderà in caso di incoscienza o di minore età del paziente e di conflitto fra i parenti? I giudici? Il problema è che non esiste risposta a questi e altri quesiti simili, quando al criterio normativo oggettivo della tutela della vita in ogni suo stadio viene sostituito quello dell’autodeterminazione.

E’ questa la ragione per cui Ratzinger, come prefetto per la Congregazione della dottrina della fede, scrisse nel 2002 una nota per i cattolici in politica (l’ultima linea guida magisteriale attualmente a loro disposizione) spiegando che esistono “principi non negoziabili” anche in politica, “principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno (…)  E’ questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia” , per cui nessun fedele “può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali”.

Purtroppo però i cattolici disattesero quasi da subito le direttive della Chiesa, non solo proponendo norme come le Dat (2009) o votando a favore delle Unioni Civili (2016) in nome del compromesso, ma già nel 2004, quando di fronte al “far west” della fecondazione assistita praticata in tutti i modi, anziché provare a proporre una legge che la vietasse, si scelse una via più soft: una norma (la legge 40/2004) piena sì di “paletti” (illudendosi che avrebbero ridotti i danni) ma che comunque ammetteva la fecondazione in vitro (ossia il figlio come diritto) contraria alla legge naturale e vietata dalla Chiesa. 

La storia si è poi premurata di dimostrare che la politica dei "paletti" non regge alla prova dei fatti: se non lo fa la politica ci pensa infatti la magistratura ad abbatterli uno dopo l'altro potendo fare leva sui princìpi già presenti nelle leggi approvate. È stato così per il divorzio, per l'aborto e, in modo sempre più accelerato per la fecondazione artificiale e per le unioni civili. 

E ora vogliamo ricommettere lo stesso errore con le Dat, appoggiando una norma che, accettando l’autodeterminazione, contiene già la giustificazione alla futura eliminazione dei “paletti” che si promette a Moscon di introdurre? Non abbiamo ancora compreso che illudendoci di “fare il possibile” per evitare l’eutanasia le stiamo aprendo le porte come accadde per la fecondazione con la Legge 40?  

Caro Lorenzo, sarebbe bello poterti tranquillizzare assicurandoti che i politici stanno facendo di tutto per evitare l’eutanasia oppure spiegarti che, se non loro, la Chiesa sta alzando la voce per educare i fedeli cattolici a difendere i deboli dalle grinfie dello Stato. Ma ti mentiremmo. Quello che ti si può consigliare è solo di continuare a usare la tua voce e la tua ragionevolezza. Soprattutto di fondare la tua sicurezza su amici e medici di fiducia, di continuare a circondarti di persone che hanno le idee chiare come te, nonostante la confusione fuori e dentro la Chiesa. E, infine, di affidarti a Gesù e sua Madre che invocati non mancheranno mai di assicurarti l’aiuto e il conforto che hai ricevuto finora. Qualunque cosa accada.