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SECESSIONISMO

Catalogna, Madrid è decisa a stroncare l'indipendentismo

L’arresto di Carles Puigdemont, ex governatore della Catalogna, riapre la questione catalana. Dopo un periodo di “armistizio”, l’attivismo giudiziario spagnolo nei confronti degli indipendentisti è ripreso nella seconda metà del mese di marzo e coincide con la linea del governo Rajoy, deciso a impedire la secessione.

Esteri 28_03_2018
Manifestazione in Catalogna per Puigdemont

L’arresto di Carles Puigdemont domenica mattina per opera della polizia regionale tedesca dello Schleswig Holstein ha i contorni dell’operazione di spionaggio internazionale.

L’ex governatore della Catalogna stava tornando dalla Finlandia, dove aveva tenuto una conferenza su invito di un deputato del Partito di centro, Mikko Kärnä esponente della minoranza lappone. Già sapeva che il mandato di arresto europeo contro di lui era stato riattivato la mattina di venerdì 23 marzo, proprio mentre lui parlava nell’aula magna dell’università di Helsinki. Probabilmente sapeva delle intenzioni della giustizia spagnola prima che queste assumessero veste formale. Da cosa lo si può dedurre? Dal fatto che all’una di notte di venerdì una Renault Espace con matricola belga 1KKN586 usciva dal garage della casa di Waterloo, in Belgio, dove Puigdemont viveva da alcune settimane, e prendeva la via della Scandinavia. Si trattava dell’auto che l’ex governatore usava abitualmente per i suoi spostamenti in terra belga. Dunque qualcuno partiva a recuperare per via di terra Puigdemont ore prima che il riattivato ordine di arresto europeo fosse notificato alle autorità finlandesi. Il giorno dopo il leader catalano non si sarebbe presentato all’aeroporto di Helsinki, dove sarebbe stato inevitabilmente intercettato, e avrebbe viaggiato con mezzi meno identificabili (un ferry boat fra la Finlandia e la Svezia) verso l’appuntamento coi suoi soccorritori.

Quello che sicuramente questi ultimi non sapevano è che i servizi segreti spagnoli tenevano sotto osservazione la residenza belga dell’ex governatore e che erano riusciti a installare nell’auto un sistema di geolocalizzazione. Madrid ha potuto seguire passo passo la marcia del veicolo attraverso l’Europa, e giungere alla conclusione che l’appuntamento era fissato a Stoccolma. A questo punto bisognava decidere a che punto del viaggio di ritorno verso il Belgio si sarebbe dovuto chiedere alle autorità locali di adempiere al mandato di arresto. Escluso il Belgio destinazione finale del viaggio, dove la giustizia aveva molto tergiversato ai tempi del primo mandato di arresto europeo (quello poi annullato il 5 dicembre dallo stesso giudice spagnolo), bisognava scegliere fra Svezia, Danimarca, Germania e Olanda, i quattro paesi che l’auto avrebbe attraversato per riportare Puigdemont a Waterloo. Che la scelta sia ricaduta sulla Germania, dove l’auto è stata fermata in una stazione di servizio 30 km dopo la frontiera con la Danimarca, non dovrebbe essere un fatto casuale. È vero che la faccenda ora è nelle mani della giustizia dello Schleswig Holstein, e che il reato di ribellione di cui la Spagna incolpa Puigdemont non è sovrapponibile a quello previsto dal codice penale tedesco, che fa anche riferimento all’uso della violenza. Però Madrid può facilmente ottenere l’estradizione del prigioniero grazie all’altro capo di imputazione, quello di malversazione dei fondi pubblici che sono stati spesi per organizzare un referendum indipendentista che Puigdemont sapeva essere fuorilegge e incostituzionale. Una volta trasferito in un carcere spagnolo, sarà facile allentare il guinzaglio all’ex governatore quel tanto che basti a fargli pronunciare qualche dichiarazione o promuovere qualche atto suscettibile di incolparlo di sedizione e tradimento.

Ma il vero motivo di ottimismo, che probabilmente sta dietro alla decisione di incastrare Puigdemont in Germania piuttosto che in Svezia, Danimarca o Olanda, è che il partito della cancelliera Angela Merkel, la Cdu, è affiliato allo stesso partito politico europeo al quale è affiliato il Partito Popolare del premier spagnolo Mariano Rajoy, e cioè il Partito popolare europeo. Infatti le dichiarazioni di lunedì del portavoce della cancelleria sono molto incoraggianti per Madrid: «La Spagna è una democrazia dove lo Stato di diritto esiste. Il governo tedesco rimane convinto che il conflitto catalano deve essere risolto all’interno del sistema legale e costituzionale spagnolo. Questa è la ragione per cui negli ultimi mesi abbiamo sostenuto la chiara posizione che il governo spagnolo ha assunto per garantire questo ordine legale costituzionale». Ancor più dell’arresto, queste parole segnano il fallimento del tentativo di internazionalizzare a livello europeo e spostare a livello di giurisdizione dell’Unione Europea la crisi catalana da parte dei leader indipendentisti. Le uniche dichiarazioni di simpatia e qualche forma di sostegno all’indomani dell’arresto Puigdemont le ha ricevute dal Gruppo dei Verdi all’Europarlamento. Questo ha definito “completamente sproporzionato” l’arresto e ha invocato la mediazione della Commissione Europea di fronte a una situazione che vedrebbe compromesso lo Stato di diritto. Musica per le orecchi degli indipendentisti: «Chiediamo alla Commissione Europea di mediare e cercare di promuovere il dialogo e il negoziato e imporre il rispetto per i diritti fondamentali. Lo Stato di diritto e le libertà democratiche devono essere rispettati da tutti gli stati membri indipendentemente dal partito politico che è al potere». Su di una lunghezza d’onda simile il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, che ha espresso la sua “forte opposizione” alle richieste di estradizione della giustizia spagnola nei confronti di Clara Ponsati, ex ministro regionale dell’educazione inseguita da un mandato di arresto rifugiata in Scozia, aggiungendo però che «la nostra polizia e le nostre Corti sono obbligate ad agire secondo le procedure». E il segretario della Lega Matteo Salvini, che ha dichiarato: «Arrestare per motivi politici un rappresentante del popolo, come accaduto con l'ex presidente catalano Puigdemont, è inaccettabile. I problemi si risolvono con il dialogo e il rispetto della volontà dei cittadini, non con le manette».

Troppo poco per gli indipendentisti, che sin dai giorni del referendum unilaterale nell’ottobre dell’anno scorso hanno cercato di internazionalizzare la vicenda per coinvolgere l’Unione Europea come soggetto terzo di un negoziato fra Barcellona e Madrid. Con i mandati di arresto di venerdì scorso la Procura spagnola ha portato a 25 il numero di esponenti dell’indipendentismo colpiti da procedure giudiziarie, per lo più già arrestati e detenuti in Spagna. Dopo il fermo di Puigdemont in Germania e la partenza per l’”esilio” in Svizzera di Marta Rovira dell’Erc (uno dei tre partiti indipendentisti), restano latitanti in diversi paesi europei 6 politici catalani, numero che dovrebbe presto diminuire.

Dopo un periodo di “armistizio”, l’attivismo giudiziario spagnolo nei confronti degli indipendentisti è ripreso nella seconda metà del mese di marzo, ed è difficile considerarlo completamente slegato dalla linea di condotta del governo Rajoy. Madrid appare intenzionata a rendere impossibile qualunque assunzione di carica istituzionale prevista dallo Statuto di autonomia della Catalogna a personaggi interessati a far ripartire il processo sovranista inaugurato nel 2010 da Artur Mas. Il governo centrale si aspetta che gli indipendentisti diano vita a un esecutivo incaricato di gestire l’autonomia così come è prevista negli statuti, rinunciando a riaprire la questione dell’indipendenza. Se costoro si rifiuteranno, a fine maggio scadranno i tempi previsti per la costituzione di un nuovo governo regionale, il parlamento sarà nuovamente sciolto e si tornerà alle urne. A Madrid non importa che dalle eventuali elezioni esca una maggioranza pro-indipendenza più solida di quella esistente (che ha un margine di soli 2 seggi): qualunque tentativo di derogare la semplice autonomia sarà punito a norma dell’articolo 155 della Costituzione, cioè riportando i poteri di governo della Catalogna al governo centrale.