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L'EDITORIALE

Chi fa a pezzi la Costituzione

Giustizia, scuola e famiglia. Le manifestazioni di piazza di sabato scorso per la difesa della Costituzione hanno messo in rilievo una diffusa ignoranza di quanto in realtà la Carta fondamentale afferma.

Editoriali 15_03_2011

Quando gli italiani si rifanno alla Costituzione parlano dello stesso testo o di testi diversi? A sentire gli slogan delle manifestazioni di sabato scorso per la difesa della Costituzione, per la giustizia e per la scuola pubblica tenutesi in varie città d’Italia la domanda sorge spontanea. La Costituzione la conosciamo tutti, però non tutti la assumiamo per intero, ma preferiamo spezzettarla secondo il nostro interesse. Spiace essere costretti a fare queste constatazioni proprio a ridosso del 17 marzo, data della celebrazione dell’Unità d’Italia, con la quale la Costituzione qualche rapporto ce l’ha.

La Costituzione parla sì del diritto allo studio, ma non lo collega solo alla scuola di Stato, altrimenti la legge sulla parità scolastica, approvata dal governo D’Alema sarebbe incostituzionale. Che la scuola statale meriti ogni attenzione al fine di migliorarne non solo i servizi ma soprattutto la capacità educativa in senso pieno, non ci sono dubbi. Parlare di un sistema pubblico integrato che garantisca in pieno e in concreto il diritto delle famiglie ad educare i propri figli non è un attacco alla Costituzione, ma una sua piena realizzazione laddove essa parla della libertà della persona, del dovere dello Stato di rimuovere gli ostacoli che impediscono una vera uguaglianza e del ruolo sociale fondamentale svolto dalla famiglia. Nella Costituzione non c’è solo il famoso “senza oneri per lo Stato”, ma ci sono anche tutti gli altri articoli. Del resto anche quel “senza oneri per lo Stato” – come è stato ormai ampiamente precisato -  va correttamente interpretato non come un divieto di aiutare le famiglie ad esercitare il loro originario dovere educativo, ma come un divieto di finanziare la costituzione di scuole non statali.

A proposito di famiglia, poi, perché si sono così spesso trascurati e si trascurano tuttora gli articoli della Costituzione che assegnano alla famiglia un ruolo sociale insostituibile, di “cellula” della società? E’ dalla reciprocità del matrimonio aperto alla vita che nasce la società, non dalle disposizioni dello Stato. Chi afferma che la Costituzione è in pericolo dovrebbe parlare anche di questi pericoli.

Le manifestazioni di sabato scorso sono state motivate nell’immediato dall’annuncio della riforma della giustizia da parte del Governo. A parte il fatto che quella riforma la approverà o meno il parlamento, ossia che il tutto avverrà secondo la Costituzione, ci si chiede come mai dal testo costituzionale è stato tolto l’articolo 68 che prevedeva l’immunità parlamentare. Non era anche quello Costituzione? Non era anche quella giustizia? Indipendentemente dal giudizio di merito sulle proposte del governo per riformare la giustizia, è difficile negare che l’abolizione di quell’articolo abbia creato uno sbilanciamento tra il potere legislativo e quello giudiziario. Riequilibrare questo rapporto – ripeto, indipendentemente dal giudizio sulla legge che viene ora proposta – è un problema di giustizia e di rispetto della Costituzione.

Per altro la Costituzione non prevede che i magistrati si organizzino politicamente in una Associazione, non prevede che ci sia un passaggio così consistente dalla magistratura alla politica e viceversa, né prevede che i pubblici ministeri possano far cadere i governi..

Bisogna dire queste cose per difendere la Costituzione. Essa va difesa tutta intera. Ma per fare questo c’è bisogno di vedere quanto sta sotto la Costituzione, vale a dire la persona umana, la sua dignità, il suo radicamento nelle società naturali e nei corpi intermedi, il suo bisogno profondo di cercare la verità. Anche la Costituzione, come tutte le istituzioni giuridiche e politiche, vive di presupposti che non è essa a darsi. Se gli italiani, come dicevamo all’inizio, danno l’impressione di rifarsi a diversi testi costituzionali è proprio perché si è sfilacciato il consenso su quanto precede e fonda la Costituzione, su un quadro di valori umani che motivano il dettato costituzionale.

Siamo a ridosso del 17 marzo, dicevamo. E lo spettacolo di un’Italia divisa in piazze diverse che si rifanno a Costituzioni diverse non è edificante. In positivo, però, questo mette in evidenza che come l’Italia c’era anche prima del 17 marzo 1861, dato che in quella data è nato lo Stato italiano ma non l’Italia, così anche la Costituzione del 1 gennaio 1948 serve all’Italia, agli italiani, all’autentico bene comune, a qualcosa che la precede e che la motiva. E’ su questo che dobbiamo concentrarci. E’ questo che dobbiamo recuperare.