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COMUNICAZIONI SOCIALI

Chiesa: prima i contenuti, poi i mezzi

Domenica scorsa si è celebrata la 47esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Una particolare attenzione al mondo digitale, dove è possibile diventare nuovamente "pescatori di uomini". Se diciamo qualcosa di importante.

Ecclesia 19_05_2013
Papa Ipad

Domenica scorsa, anche nelle Chiese italiane si è celebrata la quarantasettesima edizione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. L’occasione è annuale e risulta sempre propizia per riflettere sulle modalità più efficaci per trasmettere il messaggio evangelico, soprattutto alle nuove generazioni, sempre più dipendenti dalle tecnologie e sempre meno ricettive ai contenuti diffusi attraverso i media tradizionali.

Ma la vivace discussione che all’interno del mondo cattolico si è sviluppata negli ultimi anni su questo tema si è spesso concentrata sui mezzi, sui veicoli e sulle piattaforme trasmissive, lasciando in penombra o comunque non garantendo ai contenuti lo spazio, prioritario, che essi meritano.

Il “cosa” comunicare rimane il fondamento di una Chiesa che intende essere “popolo in cammino”, forza propulsiva della società, motore della crescita umana e megafono dei valori imperituri che illuminano la storia degli uomini.

In questo senso la scommessa del digitale, abbracciata con coraggio e dinamismo dalla Chiesa, in particolare da Papa Ratzinger tre anni fa, rappresenta una modalità innovativa per affermare i principi della dottrina sociale della Chiesa in un circuito massmediale sempre più pervasivo e interrelato.

La metafora biblica del farsi “pescatori di uomini” assume un’attualità immensa e sfidante per tutti i cattolici, chiamati a “pescare” gli uomini che oggi navigano in Rete, che non conoscono il messaggio cristiano e che rimangono facilmente preda di altre sirene, all’apparenza più suggestive e meno vincolanti, ma in realtà stritolanti nel lungo periodo, nei termini di un nichilismo esistenziale e di un appagamento ingannevole e fuorviante.

La Rete può diventare non solo un luogo di esercizio della libertà d’espressione, ma anche un ambito di realizzazione di quella libertà di riunione, attraverso reti sociali che coinvolgono milioni di internauti, offrendo loro la possibilità di dialogare, confrontarsi, condividere opinioni, informazioni, progetti culturali.

In un meccanismo così virtuoso, che pure presenta insidie alienanti non sempre facilmente governabili, lo spazio per la diffusione del messaggio della Chiesa è enorme. Nelle preghiere dei fedeli lette durante la Santa Messa di domenica scorsa, i richiami erano molto accorati: affinché «coloro che sono chiamati a guidare la società civile usino con saggezza ed equilibrio i mezzi della comunicazione sociale, mirino al bene di tutti, evitando ogni protagonismo e interesse di parte»; perché «gli scrittori, i giornalisti, i registi e gli operatori della comunicazione, nel raccontare il mondo che li circonda, siano sempre attenti e rispettosi della verità e della dignità di ogni uomo»; perché «la comunità cristiana, illuminata e confortata dallo Spirito Santo, non tema di creare “nuovi spazi di evangelizzazione” affrontando le sfide poste dal mondo digitale»; perché «ognuno di noi si serva delle nuove tecnologie, che il progresso scientifico ha messo nelle nostre mani, per costruire una società dove primeggiano l’amore di Dio, il rispetto reciproco, il dialogo e l’amicizia». Tutte esortazioni che esaltano il valore di un sano bilanciamento tra libertà e responsabilità, tra la libertà di informazione e la tutela dei diritti della personalità dei soggetti coinvolti nelle notizie. La dimensione della responsabilità si declina come attenzione ai bisogni degli ultimi, come inclinazione a dare voce a chi non ha voce, come saldo ancoraggio alla verità dei fatti, contro ogni mistificazione e sistematica deformazione della realtà.

Di qui la centralità dei contenuti della comunicazione sociale della Chiesa rispetto alla pur comprensibile, anzi auspicabile, apertura ai nuovi mezzi. Gli attacchi concentrici del mondo dei media alla Chiesa, surrettiziamente identificata in via esclusiva come centro di potere anziché nella sua dimensione prevalente di “Chiesa comunità”, sono la cartina al tornasole di una mentalità distorta che alcuni perversi circuiti mediatici alimentano al loro interno e amplificano all’esterno.

Il 3 dicembre 2012 Papa Benedetto XIV ha aperto il suo account twitter con lo stesso spirito di apertura al mondo che mosse Papa Pio XI, che il 12 febbraio 1931 lanciò il suo primo messaggio via radio. Già 82 anni fa Papa Pio XI parlò di una tecnologia messa al servizio delle relazioni e non della mera propaganda. La logica di continuità che si coglie nell’iniziativa di Papa Ratzinger si traduce nel superamento di un’ottica di semplice trasmissione, che lascia il posto ad un approccio di condivisione. Un messaggio via twitter può essere retwittato, commentato, entra in un giro di relazione, di condivisione, di riflessione. E in Twitter c’è peraltro una sfumatura che Papa Benedetto XIV colse, mesi fa, quando osservò che «nell’essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità». Ecco perché, il Papa e la Chiesa non stanno su twitter per il desiderio generico di «essere al passo con i tempi» ma, come spiegò Ratzinger, per «permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti».