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LIBERTA' RELIGIOSA

Cina, ritorno a Mao: duro attacco alla Chiesa

Decine di vescovi deportati a forza a Pechino per costringerli a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi.

Attualità 08_12_2010
vescovo guo
Con metodi che ricordano le purghe di Mao Zedong e le violenze della Rivoluzione culturale, decine di vescovi della Chiesa ufficiale sono stati deportati a forza nella capitale per costringerli a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, che dura tre giorni a partire dal 7 dicembre.

Secondo la Lettera del Papa ai cattolici cinesi, l’assemblea è inconciliabile con la fede cattolica e per questo il Vaticano ha da tempo consigliato ai prelati di non parteciparvi. Del resto, il titolo roboante del raduno è significativo: “Sostenere i principi per una Chiesa patriottica indipendente, resistere alle forze esterne alla nazione e unire tutto il clero e i cattolici per camminare sul sentiero della società socialista”. Nel gergo comunista cinese, “indipendenza” significa autonomia e distacco da Roma; “forze esterne” significano il Vaticano e la Santa Sede che, esercitando il loro ministero ecclesiale, per l’Associazione patriottica (Ap) e il governo compiono “un’influenza indebita” e “coloniale” sulla Chiesa cinese.

L’assemblea è in effetti “l’organismo sovrano” – come dice il suo statuto - della Chiesa ufficiale cinese, in cui i vescovi sono una minoranza, fra rappresentanti cattolici e governativi. In essa si prendono decisioni ecclesiali a colpi di elezioni manipolate. Prima del raduno di questi giorni, tutti i partecipanti hanno ricevuto le indicazioni di cosa fare e di cosa votare. L’Assemblea è stata rimandata per almeno quattro anni perché i vescovi ufficiali, in obbedienza alle indicazioni della Santa Sede, hanno sempre rifiutato di parteciparvi. Così si è dato il via alle deportazioni nella capitale, per costringerli a compiere questo gesto contro il papa e contro la Chiesa universale.

L’episodio più grave è avvenuto a Hengshui (Hebei), dove mons. Feng Xinmao è stato sequestrato da circa 100 poliziotti e rappresentanti del governo, che hanno lottato per ore contro i fedeli e i sacerdoti che facevano scudo al vescovo per garantirgli la libertà. Negli scontri un fedele è stato ferito alla spalla. In serata il prelato è stato condotto a Pechino per assistere all’assemblea. Il regista di tutta questa operazione – con la prova tecnica del sequestro di 8 vescovi per obbligarli a un’ordinazione senza mandato della Santa Sede – è il laico Antonio Liu Bainian che da 30 anni è al timone dell’Associazione patriottica. In tutte le interviste egli dice di fare tutto “per il bene della Chiesa”. In realtà, i fedeli di Pechino e della Cina accusano Liu di aver abusato dei beni della Chiesa per la sua famiglia, costruendo case su terreni non suoi e pagando gli studi all’estero dei suoi figli, garantendo loro una carriera ricca e sfolgorante.

La lotta alla corruzione, tanto predicata dalla leadership cinese per una moralizzazione della società, sembra lasciare indenne quest’uomo il cui operato fa salire dubbi sulla reale consistenza e verità della leadership di Pechino, che negli ultimi anni sembrava aver assunto un atteggiamento più pacato verso la Chiesa e il Vaticano.

In realtà, in tutti questi anni, non è cambiato nulla dell’impianto dittatoriale del Partito e della Cina: ogni esperienza, anche quelle religiose, vanno controllate. Si può permettere la libertà di culto, la preghiera, ma non la libertà religiosa totale, legata all’associarsi dei fedeli, alla propagazione della fede, ai rapporti con il papa. Proprio di questi tempi il Partito sperimenta sempre più l’incapacità a garantire lo sviluppo e la dignità per tutti: i muscoli di un’economia potente lasciano molte fasce nella povertà; l’inquinamento uccide centinaia di migliaia di persone; le richieste di lotta alla corruzione con la democrazia (v. Liu Xiaobo) aumentano.

La libertà religiosa garantita alla Chiesa (e alle altre religioni) potrebbe salvare la Cina da un conflitto sociale interno, i cui segni sono le 100 mila rivolte annue che si registrano nel Paese.