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EDITORIALE

Dalla Libia al Mali l'Italia non impara

La piega drammatica che sta prendendo il conflitto in Mali e Algeria è la conseguenza del maldestro intervento occidentale in Libia contro Gheddafi. E le cose andranno peggio per il nostro paese se continuerà a non avere una politica estera per Mediterraneo e Africa.

Editoriali 18_01_2013
Miliziani qaedisti in Mali

Con  l’incursione di miliziani islamisti nell’impianto per l’estrazione del gas situato a Is Amenas, una località situata nel Sahara algerino a relativamente poca distanza dal confine libico, fa purtroppo un ulteriore passo avanti la malaugurata reazione a catena messa in moto da chi volle la caduta del regime di Gheddafi senza verificare prima come si sarebbe potuto riempire il vuoto di potere che così si sarebbe creato. Chi prevedeva che ciò avrebbe provocato instabilità e aperto nuovi spazi al terrorismo islamista è stato facile - ma ciononostante inascoltato - profeta.

Dall’uccisione a Bengasi lo scorso 11 settembre dell’ambasciatore americano, all’occupazione delle regioni settentrionali del Mali, poi al recente tentato assassinio del console d’Italia nella stessa Bengasi fino all’attacco all’impianto di Is Amenas, che mentre scriviamo sembra esser già costato la vita a 35 tecnici stranieri, stiamo assistendo a una fase di sistematica intensificazione dell’offensiva islamista nel Nordafrica cui l’Occidente e i suoi alleati si dimostrano incapaci di far fronte: non per mancanza di forze ma per mancanza di idee e di capacità di comprendere la situazione.

Un dittatore come Gheddafi non era certo un bravo ragazzo, ma relativamente a dove dominava aveva questo di buono: voleva comandare soltanto lui senza condividere il proprio potere con nessuno, nemmeno con Al Qa'ida. Dal momento che Al Qa'ida incombeva, tanto più che Bengasi è una delle sue culle, sarebbe stato molto opportuno non muoversi  se non quando si fosse stati certi che lo si sarebbe potuto sostituire con qualcosa possibilmente di un po’ più democratico e un po’ più rispettoso dei diritti umani ma anche di abbastanza solido. Invece non solo non lo si è fatto ma addirittura - caduto il regime e ucciso il dittatore - non ci si è nemmeno preoccupati di debellare o di smobilitare pacificamente i suoi “mercenari”, ossia i reparti militari professionali ben armati, e reclutati per lo più fuori della Libia, di cui Gheddafi si era dotato. 

Con le armi e con i mezzi di cui disponevano insieme ad altri gruppi armati questi “mercenari”  si sono spostati nel sud desertico della Libia dove, come forse qualcuno ricorderà, il figlio di Gheddafi, Saif Al-Islami, aveva cercato di raggiungerli. Svanito con la sua cattura il sogno per così dire di un ritorno a casa, costoro si sono spostati altrove lungo le piste sahariane fino all’incontro sia fisico che politico con quella galassia tuttavia non informe né inerte che in Occidente chiamiamo genericamente Al Qa'ida, e di cui la storica Al Qa'ida è comunque uno dei motori, anche se è difficile dire quanto ne sia il motore principale.

Il bel risultato di questa maldestra operazione è che adesso questa galassia dispone, almeno nelle regioni sahariane, non solo di semplici gruppi di armati ma anche di reparti capaci sia di muoversi che di stare in campo in modo organizzato e con notevoli capacità tattiche, come la missione militare francese nel Mali sta imparando a proprie spese;  e come  conferma l’incursione contro l’impianto di Is Amenas, dove peraltro – almeno da quanto sinora risulta – la strage degli ostaggi è l’esito di un indiscriminato bombardamento dell’aviazione algerina che ha mirato a un veicolo in movimento senza tener conto che avrebbe potuto anche trasportare civili presi in ostaggio dai miliziani.

È questo il quadro complessivo in cui si colloca il Consiglio europeo straordinario convocato ieri a Bruxelles dove il ministro degli Esteri italiano è giunto dichiarando che il nostro Paese potrà dare “supporto logistico” alla missione militare francese nel Mali ma senza comunque partecipare ad intervento militare diretto (ovvero continua in quella politica di un colpo al cerchio e un colpo alla botte in cui già il precedente governo si distinse nel caso della crisi libica con i brillanti risultati che ne sono conseguiti). 

Morale della favola, che purtroppo non è una favola ma una realtà: continuando a non avere una sua politica estera per il Mediterraneo e l’Africa, l’Italia si appresta un’altra volta a fare da stampella a quella fallimentare della Francia, a sua volta stampella di quella altrettanto fallimentare degli Stati Uniti. Non si potrebbe puntare a qualcosa di meglio?