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OTTOCENTO DA RISCOPRIRE/XXX

D'Annunzio specchio dell’edonismo contemporaneo

Gabriele D'Annunzio è uno degli autori più importanti della Belle Époque, emblema del suo tempo e corifeo di quell’esasperata ricerca edonistica che è propria dell’uomo contemporaneo, specchio in cui l’uomo di oggi rischia di riconoscersi.

Cultura 08_10_2017

Il 12 marzo del 1863 nasce Gabriele Rapagnetta, che si farà chiamare più tardi D’Annunzio o, con scrittura aristocratica, d’Annunzio, mutuando il cognome da uno zio. È uno degli autori più importanti della Belle Époque, emblema del suo tempo e corifeo di quell’esasperata ricerca edonistica che è propria dell’uomo contemporaneo, specchio in cui l’uomo di oggi rischia di riconoscersi.

Emergono nella vita e nella produzione la mania di protagonismo, la tendenza a far proprie le correnti letterarie e filosofiche del tempo (molto spesso riducendole, semplificandole, rileggendole in modo superficiale), una smodata inclinazione alla profanazione del sacro.

Figura eclettica e, al contempo, eccentrica, poliedrica e versata in diversi campi, poeta, drammaturgo e romanziere, pubblicista e sceneggiatore, abile self promoter, è lui l’artista con cui tutti i contemporanei si devono confrontare, sia che lo amino e cerchino di imitarlo sia che lo osteggino e lo avversino apertamente.

D’Annunzio deve essere «attraversato», capito, superato, parodiato, come ha ben compreso Montale, che, trent’anni più giovane, lo identifica come idolo polemico tra i poeti laureati de «I limoni» nella prima raccolta Ossi di seppia (1925), ma ancora nella quarta raccolta, Satura (1971), ormai anziano, fa memoria del poeta pescarese, morto da alcuni decenni, e scrive la parodia de «La pioggia nel pineto» nel suo componimento «Piove».

Appartenente ad una famiglia borghese, D’Annunzio conduce gli studi ginnasiali e liceali presso il Reale Collegio Cicognini di Prato, uno dei più rinomati d’Italia. Proprio lì, a scuola, rivela sia le sue abilità e le grandi ambizioni che la sua indisciplina. Ancor sedicenne, pubblica la sua prima raccolta Primo vere. La seconda edizione della stessa è anticipata dalla diffusione ad arte della notizia della morte del giovane, in seguito ad una caduta da cavallo. Il successo arride alla nuova pubblicazione mostrando già le capacità promozionali dello scrittore e la sua spregiudicatezza. Tre anni più tardi esce la seconda silloge, Canto novo. Trasferitosi a Roma per frequentare l’università, che egli abbandonerà ben presto, a contatto con i salotti eleganti e mondani della città, D’Annunzio diviene sempre più vanesio ed eccentrico.

In seguito allo «scandalo di maggio», di cui tanto si scrive sui quotidiani, D’annunzio convola a nozze con la duchessina Maria Hardouin di Gallese nel 1883 e diviene padre per ben tre volte, ma si separa da lei pochi anni più tardi. Tante saranno le sue amanti, tra cui Elvira Natalia Fraternali, alias Barbara Leoni. Di questa storia passionale è testimonianza la prosa de Il piacere del 1889 che porta lo scrittore alla ribalta: il romanzo, pubblicato nello stesso anno di Mastro don Gesualdo di Verga, mostra che i gusti del pubblico dei lettori italiani propende decisamente per la nuova sensibilità dell’Estetismo che si sta diffondendo in Europa, chiaro segno di una cultura decadente, che si contrappone a quella positivista, e di una modalità narrativa che si sostituisce a quella verista. Sarà il primo dei tre romanzi che formeranno la trilogia del Ciclo della rosa costituita anche da L’innocente (1892) e da Il trionfo della morte (1894). In quest’ultimo romanzo compare per la prima volta un accenno alla filosofia niciana che tanto influenzerà la sua produzione successiva.

Alla fine del 1895 esce (con data 1896) l’opera Le vergini delle rocce, primo ed unico romanzo scritto della trilogia del Ciclo del giglio. Qui alla dimensione dell’Estetismo si affianca quella superomistica. 

Nello stesso 1895 la crociera in Grecia sulla scia della classicità e delle grandi tragedie antiche è per lui uno sprone alla composizione di drammi teatrali, dalla Francesca da Rimini alla Fedra, dalla Figlia di Jorio alla Città morta. Negli stessi anni D’Annunzio conosce Eleonora Duse con cui avvia una relazione sentimentale. Per l’amata scrive opere teatrali di cui la donna è l’attrice protagonista. Si dedica così al teatro, segue le rappresentazioni della Duse e dedica alle performance articoli che colloca sulla terza pagina. Nasce così la cosiddetta «terza pagina» che sarà nel tempo dedicata alla cultura e, poi, viene collocata all’incirca a metà del giornale.

D’Annunzio si cimenta anche in politica, candidandosi al Parlamento con l’estrema destra nel 1897 e passando, due anni e mezzo più tardi, con l’estrema sinistra. La splendida villa rinascimentale della Capponcina in Toscana, dove si trasferisce nel 1898, è il luogo dove lo scrittore conduce una vita principesca spendendo somme di denaro elevatissime.

Nel 1900 D’Annunzio inizia a scrivere il Ciclo del melograno componendo Il fuoco, unico romanzo della trilogia. Ancora una volta il tentativo di creazione del superuomo in letteratura fallisce. L’opera divulga anche dettagli intimi della storia sentimentale di D’Annunzio e della Duse. Inizia a incrinarsi la relazione. L’amata si allontanerà sempre più dall’artista fino alla fine del rapporto sentimentale.

Il ritorno alla poesia avviene con le Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi: delle sette raccolte intitolate con i nomi delle stelle della costellazione delle Pleiadi escono Maia (1903), Elettra (1904), Alcyone (1904), Merope (1912), Asterope (scritto tra il 1914 e il 1918, ma pubblicato postumo nel 1949).

Per tanti anni D’Annunzio è il personaggio che maggiormente compare sulle riviste, di cui si parla nel bene e nel male, per gli scandali, per gli arditi romanzi in cui racconta le proprie avventure sentimentali, per le spese folli senza le quali non potrebbe condurre una vita quasi principesca, ma che gli provocano debiti tali che per alcuni anni deve lasciare l’Italia (1910) trovando rifugio in Francia. Tornerà in patria solo quando, scoppiata la Prima guerra mondiale, si fa acceso interventista infuocando il popolo con le sue parole e anticipando così la retorica di piazza mussoliniana. Alla guerra D’Annunzio partecipa non come soldato al fronte, in trincea, ma come personaggio d’eccezione, che vuole distinguersi ed essere protagonista come nella beffa di Buccari o nel volantinaggio su Vienna.

Anche finita la guerra D’Annunzio salirà agli altari della cronaca per l’impresa di Fiume (1919-1920). È forse il canto del cigno prima dell’uscita di scena dal palcoscenico pubblico. Dal 1921 lo scrittore si ritirerà nella villa di Cargnacco presso Gardone Riviera (oggi nota come Il Vittoriale degli Italiani), che sarà il suo museo costruito in vita a perenne memoria della sua vita inimitabile. Ivi morirà il primo marzo 1938.