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GLOBALIZZAZIONE

Davos, Cina e Usa mettono all'angolo l'Europa

La Cina è uno dei paesi più dirigisti e protezionisti al mondo, ma al World Economic Forum di Davos si presenta come paladina della globalizzazione. Ad essa guarda la Gran Bretagna, che sta uscendo dall'Europa. Da essa si guarda l'America di Trump, più protezionista e lontana dal Vecchio Continente. Che ormai è il grande emarginato.

Economia 18_01_2017
Trump visto dalla Cina

La Cina della negazione delle più elementari garanzie democratiche, delle limitazioni all’accesso al web, della repressione del dissenso, del rigido controllo delle frontiere e della più completa commistione tra stato, partito e classe imprenditoriale è assurta tra le nevi del vertice World Economic Forum di Davos a difensore mondiale della globalizzazione e del mercato di libero scambio. La Repubblica Popolare come contraltare di tutti i nascenti populismi che animano l’Occidente. 

Il ruolo nuovo della Cina è stato ribadito in apertura al Forum nell’intervento del presidente Xi Jinping, primo capo di Stato cinese a partecipare al meeting Davos, il quale ha rigettato ogni ipotesi di protezionismo e di una guerra commerciale, e ha sollevato la globalizzazione  da molte accuse che le vengono mosse: “Non è questa l’origine dei problemi attuali”. Anzi “la Cina – ha proseguito Xi -  non trae solo benefici degli effetti della globalizzazione economica, ma contribuisce agli aspetti positivi. Lo sviluppo della Cina è una opportunità per il mondo". 

Allo stesso tempo Xi si è permesso di puntare il dito contro le diseguaglianze, evidenziando  che l'uno per cento della popolazione controlla tanta ricchezza quanta ne controlla il restante 99%. Il presidente Xi ha quindi affermato che il problema principale dell'economia globale è "la mancanza di una forza trainante per la crescita" e ha indicato come via di sviluppo il “perseguire senza sosta l'innovazione”. Infine Xi ha vestito anche i panni dell’alfiere dell’ambientalismo invitato tutti i Paesi firmatari dell’accordo di Parigi sul Clima a rispettare l’intesa. Ovviamente nemmeno un parola sui diritti negati ai lavoratori nelle fabbriche lager cinesi, sul neo imperialismo di rapina delle risorse perseguito da Pechino in Africa e sul fatto che la Cina resta il maggiore emittente di gas serra al mondo. 

Insomma la Cina è tutt’altro che un esempio di liberismo economico e di possibilità di scambi e movimento ma al vertice svizzero fa la parte del leone mondialista, dal momento che l’Europa è ancora annichilita dal colpo della Brexit e gli Stati Uniti hanno scelto la proposta protezionista di Trump che, da presidente eletto, ha già minacciato più volte ritorsioni per le aziende che hanno intensione di spostare la produzione fuori dal suolo americano. 

Fatto sta che la presenza delle istituzioni americane alla quattro giorni Svizzera è limitata a Joe Biden, il vice uscente di Obama; John Kerry, segretario di Stato anch'egli uscente e Anthony Scaramucci, fondatore dell'hedge fund Skybridge Capital e sostenitore della prima ora di Trump, che lo ha nominato assistente del presidente. 

E mentre il presidente Xi teneva il suo discorso a Davos, il premier britannico Theresa May  ha illustrato i piano programmatico per la Brexit, con lei Londra si candida a tornare una potenza mondiale: “Siamo un paese europeo ma abbiamo sempre guardato oltre l'Europa”. “Vogliamo  una Gran Bretagna più forte, giusta, unita e rivolta all'esterno – ha aggiunto la May -. Brexit non significa chiudersi al mondo, ma costruire una Gran Bretagna globale”. La Gran Bretagna si allontana dunque dall’Ue e guarda ai mercati globali, avvicinandosi proprio a Pechino come aveva lascito presagire la visita di Xi Jinping a Londra nel ottobre del 2015, quando fu accolto dalla regina a Buckingham Palace, arrivando su una carrozza dorata come un imperatore. Non meno importante l’asse Atlantico con la nuova amministrazione Usa, Trump ha sempre osannato la Brexit e ha rilanciato l’idea di un patto con il Regno Unito.   

Insomma nel mondo in bilico tra chiusura e protezionismo l’Europa sembra messa in un angolo, visto e considerato che persino la Nato non è più considerata indispensabile per il nuovo inquilino della Casa Bianca. E se da una parte è vero che la globalizzazione è un processo per certi versi involontario, sospinto dall’evoluzione tecnologica nei trasporti, nei media e nell’economia di mercato; dall’altra c’è la necessità di governare questi processi nati senza regole e che ora rischiano di alimentare nuove diseguaglianze sociali. 

Il rapporto del World Economic Forum, pubblicato pochi giorni fa, mette a fuoco proprio le difficolta delle 30 maggiori economie avanzate a rispondere a queste sfide e registra un arretramento dei grandi Paesi industrializzati europei rispetto a quelli in via di sviluppo. La Germania è 13esima, la Francia 18esima e l’Italia 29esima. Migliori le performance degli stati medio piccoli del Nord-Europa: al primo posto  la Norvegia, davanti a Lussemburgo, Svizzera, Islanda, Danimarca e Svezia.

Tra i problemi evidenziati l’invecchiamento della popolazione, la bassa produttività e la crescente disuguaglianza sociale. Eppure il vecchio continente continua ad attrarre masse di immigrati da tutto il mondo e ad essere leader nella cooperazione allo sviluppo. Appare chiaro quindi che prima di governare la globalizzazione, l’Europa dovrà tornare a governare se stessa cercando un accordo comune per lo sviluppo e la giustizia sociale.