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ROMA

Desirée, una morte che chiede giustizia

L'atroce morte di Desirée ripropone il gravissimo problema di quartieri e zone lasciati in mano alla delinquenza straniera, con la complicità di una ideologia ancora sessantottina. Immigrazione non è sinonimo di illegalità e insicurezza, a meno che non lo faccia diventare una politica cieca e falsamente umanitaria.

Editoriali 25_10_2018

Chiedono giustizia per Desirée Mariottini gli abitanti di San Lorenzo. Il ritrovamento del corpo della sedicenne in uno stabile “okkupato” irregolarmente da immigrati africani ha scatenato l’ira e l’indignazione di quanti hanno avuto il dispiacere di soffrire sulla propria pelle le gravi forme di degrado subite nel corso dell’ultimo ventennio dal tradizionale quartiere romano.

Chiedere giustizia per Desirée significa anche chiedere giustizia per se stessi e per i propri figli, affinché non siano costretti ad accettare passivamente e con rassegnazione di dover vivere in una centrale di spaccio di stupefacenti a cielo aperto, animata da decine di soggetti, per la maggior parte di origine maghrebina, che soprattutto nelle ore della cosiddetta movida si aggirano impunemente attorno al mercato e alla piazza principale, di fronte a una chiesa, luogo di culto, senza subire conseguenza alcuna.

L’emergenza di San Lorenzo è comune ad altri quartieri della capitale, come il Pigneto, e a tante altre città d’Italia, piccole, medie e grandi. Isole d’illegalità che risucchiano giovani e giovanissimi, sempre più incoscienti, inconsapevoli e problematici, con le ragazze nei panni di vittime designate del mix letale di droga e violenza. Basti pensare a Macerata e alla sorte di Pamela Mastropietro, simile a quella a cui sembra essere andata incontro Desirée. A quando la prossima vittima?

Eppure, tragedie di questo genere sarebbero facilmente evitabili se in Italia venisse riconosciuta la legittimità del nesso logico e di civiltà tra “legalità, immigrazione e sicurezza”. Se nello stabile di San Lorenzo, seppur abbandonato, fosse stato vigente il principio di legalità ci sarebbe stata sicurezza e Desirée sarebbe ancora viva, poiché i suoi aguzzini (in possesso di documenti e di un lavoro regolari?) non avrebbero potuto nuocerle.

Tuttavia, la sciocca equivalenza ideologica tra il nesso “legalità, immigrazione e sicurezza”, da un lato, e il fascismo, dall’altro, ha finito per prevalere nello scontro di idee e visioni del mondo che si è svolto nella seconda metà del secolo scorso durante la guerra fredda. Le conseguenze dell’esito di tale scontro sono oggi sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che continuano a non vedere, con San Lorenzo a rappresentare un caso di scuola. Il quartiere, infatti, è notorio avamposto sessantottino ed è tale spirito di arrogante “disordine e indisciplina” ad aver prodotto il progressivo (e progressista) arretramento di legalità e sicurezza, fino a determinarne l’annullamento.

Dove non c’è legalità e sicurezza, o dove non ve n’è a sufficienza per garantire lo svolgimento della propria esistenza personale e lavorativa in un contesto positivo e civile, non c’è neppure lo Stato, che legalità e sicurezza è chiamato a garantire. A San Lorenzo lo Stato è drammaticamente assente e impotente, così come nelle metropolitane di Roma, dove i quotidiani furti delle famigerate “borseggiatrici” non risultano in alcun modo punibili.

In sostanza, lo spirito di cui sopra è riuscito nello scopo d’impregnare lo stato di diritto fino a condurlo all’auto-paralisi, facendo poi sì che le cosiddette “sacche di tolleranza” travolgessero gli spazi pubblici. La riconquista di questi spazi alla legalità e alla sicurezza è allora una battaglia che le istituzioni hanno il dovere d’intraprendere, perché non vi siano nuove vittime e perché la dignità dei cittadini al cui servizio sono state poste venga ripristinata. Si tratta di una battaglia dalla forte valenza culturale, che vede attualmente al centro del contendere la questione dell’immigrazione.

Immigrazione non è in alcun modo sinonimo d’illegalità e insicurezza, come dimostrano i numerosi cittadini o residenti di origine non italiana perfettamente integrati nel tessuto sociale del paese. Ma l’immigrazione, anche quella regolare, può diventare un problema di legalità e sicurezza, come accade ormai da tempo in Italia e nel più ampio contesto europeo. E non è promuovendo un’accoglienza indiscriminata - sulla base di una malintesa idea di “giustizia al di sopra della legge”, parole del sindaco di Riace -, o brandendo i “luogo-comunismi” del XXI secolo, come società multietnica e multiculturale, che il problema si risolve. Anzi, il problema si sta aggravando proprio perché lo Stato è costretto ideologicamente ad alzare le mani e a lasciare che illegalità e insicurezza si allarghino a macchia d’olio, pena l’accusa di fascismo, xenofobia, razzismo.

Questi ultimi non son altro che l’estremità opposta dell’umanitarismo d’accatto incarnato da tanti, troppi rappresentanti del mondo della politica, dei media e delle organizzazioni non governative. L’uccisione di Desirée e di Pamela, e le tragedie come quella avvenuta recentemente a Lanciano, in Abruzzo, dove una donna è stata mutilata durante una rapina nella propria abitazione, devono rappresentare uno spartiacque, affinché si possa ritrovare il filo di un dialogo razionale e costruttivo sulla questione dell’immigrazione, facendo avanzare nuove prospettive di legalità e sicurezza.