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LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO

Diciotti, gli eritrei e i professionisti dell'accoglienza

Chi si cela dietro i 41 eritrei che chiedono allo Stato il risarcimento per non essere stati sbarcati subito dalla Diciotti? I soliti Radicali e una onlus. Ma la richiesta fa acqua su molti aspetti: o sono naufraghi o sono clandestini, dimostrare la privazione della libertà personale è impossibile. Ma forse l'obiettivo è un altro. Ecco perché. 

Editoriali 24_02_2019

Ci sono i Radicali dietro i 41 eritrei che hanno chiesto allo Stato italiano un risarcimento monstre per non essere stati sbarcati subito dalla nave Diciotti l’estate scorsa. Venerdì, nel corso della conferenza stampa organizzata dai legali di Baobab che li ha presi in carico e che sta spingendo per la causa civile, ha fatto la sua comparsa anche Riccardo Maggi. 

Segno che quella radicale è la battaglia dell’immigrazionismo che pretende di forzare anche la legge per imporre la propria visione di ripopolamento dell’Italia. La vicenda è curiosa e sarebbe derubricata a boutade se non ci fossero i giornali interessati a cavalcarla. Ma così è. 

La richiesta di risarcimento oscilla tra i 40 e i 70mila euro a testa a migrante. Soldi che molti italiani spesso non vedono in anni e anni di lavoro. Ecco il primo errore: gli sbarcarti della Diciotti dovrebbero essere almeno in questa fase - per quelli che non hanno lasciato i centri di identificazione, quasi tutti - richiedenti asilo. Invece li chiama migranti senza aggiungere irregolari, come se fossero portatori in natura e di diritto dello status di immigrato. Falso. 

Ma false e davvero incomprensibili sarebbero le logiche che stanno dietro alla richiesta, alla quale il Ministro degli Interni ha già replicato con il suo piglio sarcastico (“al massimo gli regalo un Bacio Perugina). 

La ratio che ruota attorno alla richiesta infatti è quella della privazione della libertà personale. Un riflesso condizionato, dato che se lo stesso Tribunale dei ministri vuole processare Salvini per sequestro di persona, è evidente che con questa logica la loro libertà è stata violata. Peccato che - come accertato da molti magistrati - in questo caso di sequestro di persona non c’è nemmeno il vago sospetto. Insomma: è un falso problema, un costrutto puramente funzionale all’invasione politica delle toghe negli interessi preminenti della nazione. Tra i quali rientra anche il diritto/dovere di normale gli ingressi nel Paese. 

Si prospetta una interessante questione: se il Senato infatti dovesse confermare la decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere e dovesse negare l’autorizzazione al rinvio a giudizio, come si potrà continuare a ritenere che quei 41 migranti abbiano subito un danno risarcibile dal momento che non è stato accertato il reato che lo avrebbe causato e cioè il sequestro di persona?

La vicenda poi si presta a ulteriori considerazioni: se il giudice civile cui i 41 eritrei si sono rivolti operasse un accertamento incidentale, concludendo che l’illecito penale è stato commesso, anche solo al fine di valutare il danno, non aggirerebbe forse la norma costituzionale che riconosce allo Stato italiano il diritto/dovere di normale gli ingressi in Italia.

Si profila poi una contraddizione logica, che evidentemente deve essere sfuggita ai legali della Baobab: se - come si è detto più volte - gli occupanti della Diciotti erano naufraghi, essi dovrebbero essere grati allo Stato italiano per il salvataggio e l’accoglienza, pur con qualche giorno di attesa al sicuro sulla nave, rifocillati, curati e monitorati. E allora perché chiedere un risarcimento dato che adesso potrebbero godere dei benefici che la legge concede a chi richiede e poi ottiene l’asilo? 

Ma se invece - e questo è il punto - non erano naufraghi, significa che erano e sono tutt’ora immigrati clandestini, cioè hanno compiuto un reato ed è naturale che uno Stato voglia accertare chi si porta in casa e li consideri tali fino a prova contraria. Ma qui la prova contraria è dimostrare che nel loro paese, in questo caso l’Eritrea, rischiavano la pelle. Un percorso in salta e che spesso si conclude con il fallimento del riconoscimento. 

C’è poi un aspetto importante che non va sottovalutato. E’ evidente che quei 41 eritrei non agiscono da soli. Dietro di loro c’è una onlus chiamata Baobab, uno studio legale che - giustamente - dovrà lavorare per portare avanti quelli che considera i loro diritti e infine i Radicali. E’ più che lecito chiedersi però: chi ha pagato le spese di avvio del giudizio che immaginiamo non lievi, visto l’entità del risarcimento richiesto? Chi può avere interesse a portare avanti una causa del genere, sapendo che molto probabilmente finirà con un rigetto degli stessi giudici, accollandosi ingenti spese per fare cassa a spese dello Stato?

E’ uno degli aspetti più dubbi di questa strana vicenda che mostra come dietro a migranti irregolari spacciati per regolari si nascondano interessi che è lecito dubitare vadano al di là della semplice filantropia. E che fanno ritornare la solita domanda: non è per caso che il Decreto Salvini che vuole stoppare anche il business del migrante dà fastidio anche perché fa venire meno certezze e interessi che fino a ieri erano appannaggio dei professionisti dell’accoglienza?