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PENA DI MORTE / 2

Dignità, ma senza riparazione. Ogni pena allora è ingiusta

Il Papa cambia la pena di morte nel Catechismo che ora diventa un'azione intrinsecamente malvagia, un assoluto morale mentre prima era lecita solo come extrema ratio e assolveva alle funzioni riparatrici della giustizia: retributiva, rieducativa e dissuasiva. Così, rifacendosi al concetto di dignità personale, non si vede perché non contestare anche gli altri tipi di pena detentiva. Anche l’ergastolo, la carcerazione temporanea. Se togliere la vita ad un reo offende la sua dignità, perché così non dovrebbe essere anche quando gli togliamo la libertà? 

Ecclesia 03_08_2018
Il miglio verde, celebre film sulla pena di morte

Il Santo Padre l’11 maggio scorso ha approvato una nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicato alla pena di morte. Nella nuova versione si legge che “la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona’, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”. I motivi per cui la pena di morte sarebbe sempre illecita vengono indicati dal nuovo numero nel fatto che la sanzione capitale non è adeguata alla dignità della persona umana e nelle attuali circostanze storiche: infatti oggigiorno rispetto al passato “sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi”. 

Infine il nuovo numero fa riferimento ad “una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato”. Il riferimento, ha spiegato ieri la Congregazione per la Dottrina della Fede, è ad un maggior peso da assegnare alla funzione rieducativa della pena – che per Francesco è intesa esclusivamente come reinserimento nella società civile del reo -  rispetto a quella retributiva (che invece dovrebbe essere la principale, cfr. M. Ronco, Il problema della pena, Giappichelli, 1996) e alla funzione di deterrenza. In sintesi la pena di morte è illecita moralmente perché contraria alla dignità della persona, inutile oggigiorno ed esclude la possibilità di ravvedimento del reo. 

Ieri la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato una lettera indirizzata a tutti i vescovi del mondo che intende esplicitare ancor di più il senso di questa inversione di rotta dottrinale. Su un primo fronte si afferma che c’è stato uno sviluppo dottrinale in merito alla relazione tra dignità della persona e pena di morte, sviluppo già portato avanti da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: “la nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo esprime un autentico sviluppo della dottrina, che non è in contraddizione con gli insegnamenti anteriori del Magistero”. In realtà così non è, tanto che si è deciso di abrogare il vecchio n.2267. Entrambi questi pontefici, come i loro predecessori, avevano tenuto fermo la liceità della pena di morte, ma altresì avevano sottolineato un aspetto connaturato alla medesima liceità della pena di morte: questa deve essere l’extrema ratio. Se esiste uno strumento che difenda la collettività dall’aggressività del reo senza ricorrere alla pena di morte è necessario usare tale strumento, altrimenti è illecito mettere a morte il reo. E’ il principio di proporzione alla base di ogni azione buona: i mezzi per soddisfare un fine buono devono essere adeguati al fine («un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine» Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7 c.). La lettera della Congregazione prosegue proprio sottolineando questo principio di proporzione, affermando che oggi esistono “sistemi di detenzione più efficaci che assicurano la doverosa difesa dei cittadini”. 

Poi la Congregazione, per sostenere che la pena di morte è sempre “inammissibile”, richiama l’insegnamento dell’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II. Ma in esso, all’opposto, si può leggere  che “la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti” (56). Quindi in principio la pena di morte è lecita, posto che sia l’extrema ratio. Il principio veniva riproposto proprio da quel n. 2267 del Catechismo che Papa Francesco per l’appunto ha deciso di cambiare: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani”. 

In sintesi la critica di fondo che si può muovere a questo cambio dottrinale è la seguente: si dichiara in modo esplicito che la pena di morte è illecita sempre e comunque. Quando invece, fino a ieri, la pena di morte veniva qualificata dalla Chiesa come sanzione giusta posto che vi fossero dei requisiti, tra questi anche il rispetto del principio di proporzione (pena di morte come extrema ratio). Il nuovo numero del Catechismo e la lettera della Congregazione per la dottrina della fede incardinano l’illeceità della pena di morte sia su motivi di opportunità (esistono altri strumenti per contenere l’aggressività del reo), sia sul seguente principio etico: la pena di morte è sempre una sanzione non adeguata alla dignità del reo. 

Ma questa è la motivazione alla base degli assoluti morali, cioè delle azioni intrinsecamente malvagie. In tal modo – e veniamo all’aspetto più grave di tutta questa faccenda - la pena di morte, che fino a ieri era condotta considerata lecita dalla Chiesa, oggi si aggiunge al novero dei divieti negativi assoluti insieme ad assassinio, stupro, pedofilia, furto, menzogna, etc. Ma come avevamo già spiegato qualche mese or sono, la pena di morte è invece adeguata alla dignità del reo sia perché ripara alla ingiustizia commessa (funzione retributiva) - e il reo ha tutto l’interesse di compiere un’opera di giustizia, anzi ne ha diritto – sia perché dall’incarcerazione all’esecuzione la pena deve avere il tempo di esercitare una funzione pedagogica: il reo ha così l’occasione di recuperare quella quota di umanità di cui lui stesso si è spogliato con l’azione criminosa.

Se si contestano queste due funzioni della sanzione nella pena di morte, rifacendosi al concetto di dignità personale, non si vede perché non contestarli anche per gli altri tipi di pena. In altre parole, se la pena di morte è contraria alla dignità della persona, ciò si potrebbe e si dovrebbe predicare anche per tutte le altre pene detentive. Anche l’ergastolo dovrebbe essere abolito e così pure la carcerazione temporanea. Se togliere la vita ad un reo offende la sua dignità, perché così non dovrebbe essere anche quando gli togliamo la libertà? E dunque qualsiasi pena, anche non di carattere detentivo, apparirebbe ingiusta.

Infine affermare che in principio la pena di morte è moralmente illecita porterà di certo a sostenere che anche la legittima difesa e la guerra difensiva sono eticamente censurabili. Infatti il fondamento della pena di morte si trova sia nel principio delle funzioni della pena (retributiva, rieducativa, dissuasiva), sia nel principio della difesa di sé e degli altri.