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CAMERA

Divorzio per decreto, Ncd davanti al bivio

Strenua quanto solitaria resistenza in Commissione Giustizia della Camera contro il decreto sulla giustizia che modifica anche la disciplina del divorzio. L'on. Pagano parla a nome del partito, ma cosa succederà in aula e prima ancora in Consiglio dei ministri davanti alla richiesta di voto di fiducia?

Politica 01_11_2014
Divorzio

Giovedì 30 ottobre, pomeriggio. Alla Commissione Giustizia alla Camera è in discussione un provvedimento sul quale il Governo punta molto, il c.d. taglia-liti. Secondo gli annunci dovrebbe deflazionare la giustizia civile, incentivando la negoziazione al di fuori del processi. In quello che finora – sempre sulla scorta della presentazione da parte dell’Esecutivo – è stato il testo normativo più ampio sul fronte giudiziario da quando Renzi è premier, si inseriscono gli articoli 6 e 12, dei quali abbiamo scritto più volte su queste colonne: essi modificano la disciplina della separazione e del divorzio, de-giurisdizionalizzandola, e quindi nella sostanza privatizzandola. Dunque, per almeno due buone ragioni è necessaria una discussione approfondita: una è di carattere generale, l’altra è collegata alla delicatezza del merito di una parte del decreto.

E invece bisogna andare di corsa: come si è andati di corsa, combinando disastri, sul decreto-legge droga, approvato a maggio senza un minimo di riflessione. Si dirà: è un decreto-legge, scade se non lo si converte entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Risposta: è vero, ma la settimana lavorativa può anche non terminare giovedì alle 16.30 se sono in gioco importanti questioni che interessano il matrimonio. Si fa interprete della fretta la presidente della Commissione on. Ferranti, che – a fronte di un numero di emendamenti proporzionato alla quantità di norme contenute nel decreto, certamente non ostruzionistico – impone il contingentamento degli emendamenti (sopravvivono 1/5 di quelli presentati) e dei tempi.

Le inevitabili proteste dei deputati delle opposizioni e dell’on. Pagano (Ncd) incontrano la replica dell’on. Verini (Pd), il quale – riporto le sue parole dal resoconto – «ricorda come nel 1977 Enrico Berlinguer si fosse recato a Mosca e gli fossero stati concessi solo sette minuti per parlare. Eppure quelle parole il giorno dopo erano sulle prime pagine di tutti i giornali. Ritiene quindi che, se sette minuti sono bastati a Berlinguer, pochi minuti possano bastare anche ai componenti di questa Commissione per esprimere la loro posizione politica».    

Sempre grati all’on. Scalfarotto per la chiarezza del suo eloquio – non ha mai fatto mistero, per es., della sostanziale equiparazione fra il regime della famiglia e quello delle unioni civili –, ora estendiamo la gratitudine all’on. Verini. Per due motivi: il primo è che dà alla disciplina del matrimonio e della famiglia il peso che finora ha riservato il Governo in carica e larga parte dello schieramento che lo sostiene, e cioè qualcosa da ignorare, o al massimo da regolare in meno di sette minuti. Il secondo è che, nonostante Bolognine e Leopolde, il riferimento democratico pare essere ancora – e incredibilmente – la gloriosa Unione Sovietica: quella che faceva andare a Mosca un leader del calibro di Enrico Berlinguer e – prendere o lasciare – lo confinava nel recinto di sette miseri minuti. L’esempio di Berlinguer viene additato ai deputati che osano approfondire argomenti non liquidabili in pochi istanti; l’on. Verini, completando il ragionamento, ci dirà poi chi è oggi, a suo avviso, l’epigono di Breznev… 

Stroncata – nella sostanza impedita – la discussione, le opposizioni in Commissione hanno abbandonato l’aula. Probabilmente il risultato non sarebbe cambiato, ma allontanarsi, dopo aver esposto non pochi rilievi al merito del provvedimento, lascia qualche riserva: gli assenti hanno sempre torto e andar via quando si può e si deve far valere le proprie ragioni – se pure in forma così ristretta – significa lasciare quelle ragioni al loro destino. Il solo a rimanere in Commissione e a intervenire criticamente è stato l’on. Pagano. Il suo intervento, che segue quello svolto in discussione generale, è interessante perché affronta nodi tanto più significativi in quanto provenienti da un esponente della maggioranza:

a. egli ha ricordato che negli incontri di agosto fra i partiti e il ministro della Giustizia non era stata annunciata la trattazione per decreto legge di voci come separazione e divorzio, sì che si tratta di un di più non concordato;

b. ha preso le distanze dalla “mediazione” che proprio sui due articoli controversi è stata raggiunta al Senato: essa ha condotto a “un pessimo risultato”;

c. nonostante quella “mediazione” sia intervenuta con senatori Ncd, la sua critica esprime oggi “la posizione ufficiale del Ncd”;

d. ha poi ripreso le riserve di merito, peraltro già articolate a inizio di discussione.

Quest’intervento è una novità non secondaria nell’iter del provvedimento. Che cosa accadrà nell’aula della Camera da lunedì, quando cominciano l’esame e il voto del decreto? Fino a un paio di giorni fa, l’esito scontato era la blindatura del testo con voto di fiducia, come è avvenuto per il Senato. Se però su separazione e divorzio Ncd finalmente si dissocia, il primo ostacolo è il Consiglio dei ministri: che per apporre la fiducia deve approvare una delibera autorizzativa. Ncd lo consentirà? L’ostacolo successivo è l’aula: a fronte della modificata “posizione ufficiale” il voto dei deputati Ncd potrebbe essere decisivo per cambiare il decreto, con ritorno al Senato per il varo definitivo. I tempi, se pur risicati, ci sono: ci sarà pure la volontà per procedere in tal senso?

Oltre il merito. Il 15 novembre Ncd ha organizzato a Roma una manifestazione pro famiglia: l’intenzione è ottima, ma parrebbe stonata se seguisse di poche ore l’ulteriore picconata al matrimonio e alla famiglia con un proprio voto a favore degli articoli controversi. Diversamente invece si rafforzerebbe in credibilità, e permetterebbe di affrontare con maggiore forza lo scoglio delle unioni civili.

Non dare seguito alla solitaria battaglia dell’on Pagano significa nei fatti condividere la “linea Verini”: quella secondo cui il capo dei soviet decide, e non val la pena neanche discutere. Nemmeno se hai un nome (o una carica) importante.