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ELEZIONI USA

Donald Trump abbandonato dal suo stesso partito

Solitamente la nomination di un candidato alla presidenza poneva fine a tutte le liti interne al partito. Ora sta avvenendo il contrario: da quando Trump ha vinto le primarie repubblicane, nel partito la guerra continua e aumenta. Con raccolte fondi per i soli candidati al Congresso e non per il candidato presidente e colpi bassi vari.

Esteri 05_09_2016
Manifestazione contro Trump

Nel Partito Repubblicano la “questione Trump” è tutt’altro che risolta, e non è normale. Di solito la nomination presidenziale ufficializzata dalla Convenzione nazionale ha l’effetto di un accordo tombale, ma non così oggi che il Grand Old Party (GOP, l’altro nome dei Repubblicani) è del tutto trasformato. Se prima (dagli anni 1950) i conservatori erano gli “estranei” in un partito che li osteggiava, ora sono il partito e per questo osteggiano l’“estraneo” Donald J. Trump. Non potendo più sperare di fermare direttamente Trump, ora l’ala conservatrice del GOP sua avversaria punta dunque tutto sul Congresso.

L’8 novembre, infatti, oltre a scegliere il nuovo inquilino della Casa Bianca, gli americani voteranno per eleggere i 435 deputati che compongono la Camera federale e un terzo (34 su 100) dei senatori. Il GOP mira infatti a usare il Congresso per contrastare non solo un’eventuale presidenza Clinton, ma anche un’eventuale presidenza Trump con l’intento di dimostrare al Paese che la vera anima del partito, quella che si è espressa pubblicamente stilando la “piattaforma” più decisa di sempre, non è il populismo del tycoon di New York ma il conservatorismo dei suoi legislatori.

Per questo è davvero senza precedenti il gesto con cui 123 esponenti Repubblicani hanno firmato una lettera aperta recapitata il 16 agosto al Comitato nazionale del partito per chiedere ufficialmente lo spostamento delle risorse economiche dalla campagna presidenziale di Trump a quella per il Congresso. I fratelli milionari Charles G. e David H. Koch, titolari a Wichita, Kansas, delle Koch Industries, storici finanziatori del GOP e avversi a Trump, lo hanno fatto subito. Come spiega bene Mattia Ferraresi su Il Foglio, «dal punto di vista finanziario, la campagna di Trump ha una struttura essenziale, e per la verità piuttosto fragile, che sta in piedi soltanto grazie alla stampella del partito. I fondi vengono raccolti con il sistema dei Super Pac, ma per l’organizzazione delle sezioni locali, il porta a porta, la conduzione della macchina digitale per trovare, stanare e mobilitare gli elettori la palla è nel campo del Gop, che ha le capacità e l’expertise che mancano alla campagna». Che dei milioni e milioni di dollari raccolti quest’anno da Trump per la campagna elettorale soltanto 3.300, frutto di due sole donazioni, vengano dai Repubblicani che dominano il Congresso la dice molto lunga.

Il vero campo di battaglia sono comunque le primarie che selezionano i candidati al Congresso. È qui che Trump sta subendo il ritorno dei conservatori. Il 9 agosto in Wisconsin il milionario prestato alla politica ha cercato di boicottare la nomination di uno dei “No Trump” più in vista, l’attuale presidente della Camera federale Paul Ryan (conservatore e cattolico), ma Ryan ha trionfato con margini enormi. Altri candidati “trumpisti” sono stati sconfitti il 30 agosto in primarie importanti per il Senato federale quali quelle svolte in Arizona e in Florida. In Arizona ha infatti vinto l’ex candidato presidenziale John McCain, ma soprattutto in Florida ha vinto Marco Rubio, un buon cattolico conservatore che troppi avevano dato per ormai politicamente defunto dopo lo scontro con Trump (e con Ted Cruz) nelle primarie presidenziali e che invece è stato letteralmente catapultato di nuovo nella mischia a furor di popolo e di Camera di commercio.

Ma un caso chiave della guerra intestina che sta dividendo il GOP è quello della Pennsylvania. Per vincere la Casa Bianca, l’8 novembre Trump dovrà senz’altro vincere in Pennsylvania (Stato che dal 1992 vota ininterrottamente per i Democratici), ma il candidato Repubblicano al Senato federale è Patrick J. Toomey. Alle primarie celebrate in aprile, Toomey non ha avuto sfidanti; Toomey incarna insomma per intero e senza opposizione il GOP della Pennsylvania. Ma Toomey è anche un deciso avversario di Trump, che proprio per questo si è guadagnato la copertina dell’influente quindicinale conservatore National Review. Del resto, è proprio Toomey l’uomo che i Democratici (padroni in Pennsylvania) debbono battere se vogliono sperare di ottenere la maggioranza al Senato. Che farà il conservatore Toomey nel momento decisivo?

Intanto, stando a un sondaggio di The Huffington Post, il 55% degli americani registratisi come elettori del GOP considera Trump una scelta cattiva, confermando il dato costante delle primarie: ovvero che il “re del mattone” ha sempre contato su una minoranza di voti Repubblicani vincendo le primarie solo per la divisione che ha regnato tra i suoi avversari conservatori.