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ANNIVERSARIO

Dottrina sociale: la svolta della Rerum novarum

La chiara enunciazione degli assi portanti di ogni edificio sociale ben ordinato: la sussidiarietà e la solidarietà. Questo è il messaggio dell’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII promulgata 125 anni fa. Che ha aperto la fase moderna della dottrina sociale della Chiesa. Un convegno dell'Acton Institute lo ricorda.

Ecclesia 22_04_2016
L'enciclica Rerum novarum di Leone XII

125 anni fa, il 15 maggio 1891, Papa Leone XIII promulgava l’enciclica Rerum novarum. Sbadatamente, sbrigativamente si dice che la dottrina sociale cattolica sia nata lì, ma non è vero. Il magistero sociale è antico quanto l’insegnamento dei Pontefici, ha forniti princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione da quando la Chiesa cattolica esiste, e ovviamente lo ha fatto con i modi e gli strumenti tipici di ogni epoca storica (le encicliche, per esempio, sono uno strumento relativamente nuovo, in uso dalla metà del secolo XVIII). 

Ciò che si apre con la Rerum novarum è, infatti, la fase “moderna” della dottrina sociale cattolica, quella che, come appunto recita il titolo, viene provocata dall’insorgere di cose nuove. Le novità sono le ideologie che si sono incarnate nelle ideocrazie e che hanno preso il potere nel secolo delle rivoluzioni, dal 1789 francese al Risorgimento italiano passando per il 1848 europeo. La Chiesa ha già vissuto cataclismi grandi, ma questi ultimi chiedono risposte diverse. Nuovo è il mondo che circonda la Chiesa, non la sua dottrina. Davanti a Leone XIII ci sono la rivoluzione industriale e la questione operaia, le risposte sbagliate con cui il socialismo tenta l’umanità alla rovina e le provocazioni del liberalismo non meno ateo né meno materialista. 

Per riproporre le verità immutabili della dottrina tagliate sulle urgenze dell’ora presente, il Pontefice affronta il nodo della proprietà privata e del ruolo dello Stato, offre strumenti per stigmatizzare il clientelismo e l’aggressione alla famiglia, all’educazione e alla religione, ed enuncia con chiarezza gli assi portanti di ogni edificio sociale ben ordinato: la sussidiarietà e la solidarietà, mai l’una senza l’altra. L’innovazione di Leone XIII (un Papa che aveva “preparato la strada” alla Rerum novarum richiamando i cattolici alla filosofia teologica di san Tommaso D’Aquino con l’enciclica Aeterni Patris del 1879) è l’avere stabilito un vero e proprio canone. Tutti i documenti maggiori del Magistero sociale successivo costruiscono esplicitamente sulla Rerum novarum e, imitandola, affrontano le provocazioni di cose nuove sempre più nuove. 

L’enciclica Quadragesimo anno (1931) di Papa Pio XI (1857-1939), la lettera apostolica Octogesima adveniens (1971) del beato Papa Paolo VI (1897-1978) e l’enciclica Centesimus annus (1991) di Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) ne marcano - lo affermano sin dai titoli- il 40°, l’80° e il 100° anniversario. Per la Chiesa la dottrina sociale non è dunque un optional, ma, come ha detto Papa san Giovanni XXIII (1881-1963) nell’enciclica Mater et magistra (n. 206), pubblicata nel 1971, 70° anniversario della Rerum novarum, «parte integrante della concezione cristiana della vita». Solo che i cattolici se ne scordano e così capita che la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali affidi a una rimpatriata di residuati del socialismo internazionale il compito di celebrare l’anniversario della Centesimus annus e il suo requiem definitivo per la mortifera illusione marxista (clicca qui).

Assume quindi un valore decisivo il convegno dell’Istituto Acton svoltosi a Roma mercoledì 20 aprile, sul tema: Libertà unita alla giustizia: “Rerum Novarum” e le novità del nostro tempo, animato da don Robert A. Sirico, presidente e cofondatore dell’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty (Stati Uniti); Wojciech Giertych, o.p., teologo della Casa Pontificia; mons. Domique Rey, vescovo di Fréjus-Tolone (Francia); mons. Kestutis Kèvalas, vescovo ausiliare di Kaunas (Lituania); Rocco Pezzimenti, docente di Filosofia politica e di Storia del pensiero politico alla Lumsa di Roma; e Manfred Spieke, docente di Etica sociale cristiana nell’Università di Osnabrück (Germania). Perché in un mondo, ha detto monsignor Rey, il cui “vangelo” sono la contraccezione, l’aborto e l’eutanasia, e in cui la tecnologia ha sostituito l’ideologia, l’insegnamento della Rerum novarum è l’unico che impedisce la mercificazione dell’uomo proponendo una visione sociale imperniata sul diritto naturale, quindi se si vuole “laica” ma per ciò stesso imprescindibile.

Solo il baluardo del diritto naturale pone, infatti, limiti invalicabili al potere onnipervasivo dello Stato, ha detto il prof. Spieke, rimettendo al centro la libertà della persona e quella nozione di bene comune che i sistemi totalitari, dirigistici e comunque vessatori, soft o hard che siano, negano per principio. Ciò detto, va sottolineato, come ha affermato monsignor Kevalas, che il perno della libertà concreta della persona è la proprietà privata, che dunque va sempre difesa: abbandonarla per inseguire la chimera di un’uguaglianza forzata contraddice, ha spiegato il presule, la dignità umana e provoca un danno pubblico giacché quello alla proprietà privata non è solo un diritto individuale ma anche “sociale”. Il capitale umano si rivela cioè in relazione alla “comunità”, ovvero dentro un ambiente socio-politico. Come ha insegnato Papa san Giovanni Paolo II, cioè, la “socializzazione” della proprietà non è la sua “collettivizzazione”, ma l’“umanizzazione”.

Contro ogni forma di spersonalizzazione socialistica, padre Giertych ha ricordato, infatti, che giustizia ed equità non sono la medesima cosa. Le differenze tra gli uomini esistono, è impossibile cancellarle, è assurdo negarle (lo dice esplicitamente la Rerum novarum), ma ciò non è un male se spinge all’emulazione e al miglioramento perché sviluppa la dinamicità e la responsabilità, consentendo la carità. Sbagliava Karl Marx, ha aggiunto il teologo, indicando nella lotta di classe il motore della storia: la vera benzina del progresso è la moralità. Per questo il prof. Pezzimenti ha potuto concludere che, in quanto post-cristiane, le società moderne stanno abbracciando una cultura del tutto spersonalizzata e sempre più spersonalizzante che è il contrario di quanto auspica e favorisce il Magistero. In questo quadro, ha ammonito don Sirico, il tentativo più pericoloso è quello di ridurre la Chiesa a mero braccio assistenzialistico di uno Stato finalmente pronto a occupare ogni altro spazio. Tornare alla Rerum novarum lo impedirebbe. Per questo non la ricorda nessuno.