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EPIDEMIA

Ebola, il virus si sconfigge in Africa

L'Oms e le altre agenzie internazionali che hanno monitorato l'epidemia di ebola in Africa, fanno molta fatica a contenerla perché le condizioni sul posto sono le peggiori immaginabili. In quelle regioni del mondo, infatti, c'è un solo medico ogni 100mila abitanti. Come se Roma avesse solo 28 medici che devono pensare a tutto.

Creato 09_10_2014
Ebola in Spagna

Ebola è sempre sulle prime pagine dei giornali. Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità fa sapere che siamo vicini al picco del contagio del virus, e che l’epidemia prima che inizi ad arrestarsi arriverà a 20 mila casi entro la fine dell’anno, negli scorsi giorni sono circolate notizie su un vaccino messo a punto in un laboratorio italiano e che verrebbe poi commercializzato da una grande azienda farmaceutica inglese.

Tali notizie sono state per ora smentite, anche se sono servite a fare parlare con orgoglio delle eccellenze italiane poco conosciute. A fronte di tutto ciò il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è presentata l'altro giorno in audizione alla Camera, sottolineando che ormai non si tratta più solo di una questione sanitaria, ma soprattutto umanitaria, e che sono necessari più fondi per i controlli. Osservazioni al limite dell’ovvio, ma pienamente condivisibili. Leggendo gli interventi dei parlamentari intervenuti nel dibattito, si rimane invece sorpresi e rattristati dalle scarse conoscenze in materia sanitaria dei rappresentanti del popolo italiano che siedono in parlamento.

Si passa dalle dietrologie complottiste dei grillini a vaghe e non documentate accuse all’Oms, di ritardi negli interventi e di sottovalutazione del problema, per finire con sciovinistiche rivendicazioni dei meriti del genio italico nel caso venisse approntato proprio nel Belpaese il sospirato vaccino. È davvero curioso che le vaccinazioni - oggetto di frequentissimi attacchi anche politici - diventino oggetto di desideri e impellenti richieste allorquando si verificano delle epidemie che ci ricordano che la battaglia contro le malattie infettive, che l’umanità conduce da secoli, non è affatto conclusa, né vinta. Da questo punto di vista è bene sottolineare che, ormai, la salute non è soltanto un tema che ha a che fare con la cura, ma riguarda la sicurezza globale. Abbiamo avuto, in questi anni, Sars, Mers, allerta sulla bio-sicurezza e allarmi bioterrorismo. Siamo in una fase di globalizzazione in cui le persone e le merci viaggiano e portano più facilmente la contaminazione. Abbiamo focolai di poliomielite in Siria, c’è la meningite in Est Europa, una serie di malattie che credevamo scomparse e che hanno delle recrudescenze. È dunque estremamente importante avere una sorveglianza epidemiologica a livello europeo e globale.

L’accusa di alcuni settori politici - e che la Lorenzin sembra avere condiviso - di una sottovalutazione del fenomeno ebola da parte dell’Oms è pertanto decisamente fuori luogo. I tecnici hanno fin dall’inizio fatto la loro parte, monitorando attentamente l’evoluzione epidemiologica e intervenendo direttamente in circostanze ambientali difficilissime. Queste epidemie, periodicamente, ci svelano scenari sanitari dei paesi sottosviluppati che pochi immaginano. In Africa, come in molti paesi dell’Asia o dell’America del Sud, non si muore solo di ebola, anche perché non si è curati da altre malattie come la malaria, l’appendicite, un attacco cardiaco, perché si ha paura di toccare i pazienti e non c’è accesso al cibo né all’acqua. Esponenti dell’Oms denunciano che quelle popolazioni mangiano i pipistrelli, che sono agenti contaminanti, perché manca cibo.

Prima di invocare interventi miracolistici da parte di nuovissimi farmaci o vaccini, bisognerebbe ricordare che le malattie si curano innanzitutto migliorando le condizioni di vita. Nella Londra vittoriana della metà dell’800 scoppiò una delle più gravi epidemie di colera della storia. Ciò costrinse le autorità inglesi ad intervenire per sanare il degrado di molti quartieri poveri, intervenendo sull’acqua, sul cibo. Le condizioni di Soho nel 1854 non erano molto diverse da quelle di certe città africane. L’epidemia non si è ancora arrestata principalmente per motivi strutturali e sociali. Nei paesi dell’Africa occidentale c’è un medico ogni 100mila abitanti. Proviamo a pensare ad una città come Roma con 28 medici in tutto, o Milano con 13 medici. Medici che dovrebbero occuparsi di ogni aspetto, dal Pronto Soccorso alle visite specialistiche, agli esami diagnostici, alla prevenzione. A ciò si deve aggiungere che in molti villaggi si rifiutano le cure perché si crede che il virus sia diffuso dallo Stato, e non di rado gli operatori sanitari che vi si recano sono aggrediti e scacciati. Solo operatori di organizzazioni che si trovano in quei territori da molti anni, quindi, sono accettati dalla popolazione.

Tuttavia, nonostante queste gravissime difficoltà, la strategia del contenimento, quanto meno geografico, del contagio sembra reggere. L’epidemia, che aveva preso il via nella “Regione delle Foreste” ai confini degli stati della Sierra Leone e della Liberia, ha coinvolto successivamente la vicina Guinea. In Nigeria dove il virus è stato introdotto a luglio dalla Liberia sono stati registrati 20 casi e 8 decessi. In Senegal un solo caso di importazione dalla Guinea. Sia in Nigeria che in Senegal è stato completata l’osservazione di 21 giorni senza evidenza di nuovi casi di malattia. I focolai in Congo, con settanta casi, di cui l’ultimo isolato il 25 settembre, e 43 decessi, è del tutto indipendente da quelli dei paesi dell’Africa occidentale. Anche in Congo sono state messe in atto misure di sorveglianza nei confronti dei soggetti che sono venuti in contatto con casi di malattia che hanno superato il periodo di osservazione di 21 giorni senza sviluppare sintomi sospetti.

Per quanto riguarda i casi fuori dall’Africa, registrati negli Stati Uniti e in Spagna, si tratta nel primo caso di un cittadino liberiano giunto negli Usa, e per la Spagna di una infermiera che aveva assistito un missionario colpito dal virus e riportato in patria dove poi è deceduto.

Ciò significa che non è opportuno creare allarmismi nei confronti dei cittadini, ma semplicemente continuare fino al termine dell’epidemia in Africa mantenere procedure di sicurezza efficaci. Il coordinamento delle misure sanitarie a livello di Unione Europea è sotto l’egida dell’Health Security Committee dell’UE, che oltre ad avvalersi della competenza tecnica del centro europea del controllo delle malattie, si basa sulle raccomandazioni fornite dall’Oms. La guardia quindi deve essere tenuta alta, la sorveglianza sugli ingessi nel nostro paese (anche attraverso l’operazione Mare Nostrum) attenta e scrupolosa, ma soprattutto occorre che venga fermata l’epidemia alle origini, in Africa, agendo nei confronti del continente Africano, perché quello che accade dall’altra parte del Mediterraneo non ci può lasciare indifferenti.