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L'INCHIESTA

Ecco chi specula sui sogni (falsi) degli immigrati

Sulla pagina web di un grande giornale italiano è comparso nei giorni scorsi un video nel quale un giovane immigrato descrive i problemi che rendono difficile la vita a lui e ai suoi compagni, ospitati in Irpinia in un albergo di Venticano. Si chiama Josef. Dice di essere arrivato da un anno in Italia, costretto a fuggire dalla guerra. 

Politica 13_06_2015
Immigrati in un centro di raccolta

Sulla pagina web www.LaStampa.it è comparso nei giorni scorsi un video nel quale un giovane immigrato descrive i problemi che rendono difficile la vita a lui e ai suoi compagni, ospitati in Irpinia in un albergo di Venticano. Si chiama Josef , è originario della Guinea Conakry, uno Stato dell’Africa occidentale. Dice di essere arrivato da circa un anno in Italia come immigrato, attraversando il Mediterraneo in barca: costretto a fuggire dalle epidemie, dalla guerra e dalla situazione politica del suo Paese. 

«Non ci danno soldi da quattro mesi», esordisce, «e questo è un problema». Un altro problema è quando si va all’ospedale: «a noi immigrati non danno medicine», dice, «ci prendono il nome, compilano un modulo, ma non ci danno medicine. Ci visitano e a volte ci prendono il sangue e poi dobbiamo andarcene senza niente» (nessuno deve avergli spiegato che, per curare una persona, prima bisogna scoprire se è ammalato e di che cosa). Inoltre, prosegue, «io ho un attestato, sono laureato in ingegneria, ma qui non ci fanno formazione. Almeno vorremmo che ci mandassero in un centro dove possiamo usare i computer». Si lamenta anche dei trasporti o forse della sistemazione che gli hanno trovato: siccome non parla bene francese, che pure è la lingua ufficiale del suo Paese, non sempre quel che dice è chiaro.  «Abbiamo chiesto di poter andare in città», spiega, «qui siamo in campagna (Venticano è un paesino di 2.500 abitanti). Vorremmo andare a Napoli, ad Avellino o nella capitale. Ma non possiamo». Infine, c’è il problema dei documenti. Josef e i suoi compagni vorrebbero ottenere lo status di rifugiato, hanno presentato tutti domanda di asilo. Eppure «per la maggior parte degli amici», dice Josef, «la risposta della commissione è negativa». 

Al contrario di altri immigrati irregolari, Josef, almeno in quel video, non alza la voce, non protesta con veemenza. Si capisce però che è risentito; e ha uno sguardo perplesso, disorientato, si direbbe deluso e un po’ spaventato: come se si fosse aspettato tutt’altro. I suoi occhi sembrano dire: tutto qui? E adesso che cosa faccio? Che cosa succede? Se davvero è laureato in ingegneria, la sua è una famiglia almeno di ceto medio. Comunque sia, il suo viaggio è costato dai 4.000 ai 5.500 dollari, una cifra ragguardevole per un Paese in cui il Prodotto interno lordo pro capite è di 1.216 dollari l’anno. Perché allora ha deciso di emigrare pur disponendo di una somma con cui avrebbe potuto avviare una attività, seppur inizialmente piccola, in proprio? È chiaro che sulle ragioni che lo hanno indotto a lasciare il suo Paese mente. La Guinea Conakry non è un paradiso. La situazione politica è quella di quasi tutti i Paesi africani: leader e partiti che ambiscono al potere per mettere le mani sulle risorse nazionali, poco preoccupati di governare nell’interesse della popolazione, tanta corruzione, clientelismo. Ma non è un Paese in guerra e neanche si distingue per forme particolarmente violente di repressione del dissenso e delle minoranze. 

Questo, per inciso, spiega perché venga respinta la richiesta di asilo di quasi tutti gli amici di Josef, presumibilmente in gran parte guineani come lui o provenienti dai molti altri stati subsahariani più o meno nella stessa situazione della Guinea. Allora, se la condizione di Josef non era così disperata, e anzi era persino migliore di quella di tanti suoi coetanei africani, qualcosa e qualcuno devono avergli fatto pensare che in Italia avrebbe trovato tutto ciò che di meglio poteva desiderare e, di sicuro, una realtà assai diversa da quella che sta vivendo. A un certo punto lui e la sua famiglia hanno pensato che sarebbe bastato arrivare in Italia per avere una casa confortevole, mezzi di trasporto, assistenza sanitaria, divertimenti… senza immaginare, forse, che si può avere tutto questo e altro ancora, ma a forza di lavoro, fatica, risparmi, sacrifici oppure a condizione di dipendere da chi è disposto a elargirlo. 

Può anche darsi che qualcuno lo abbia convinto che con una laurea di ingegneria avrebbe fatto fortuna, senza dirgli che l’Italia è il Paese da cui ogni anno decine di migliaia di giovani diplomati e laureati emigrano in cerca di lavoro. Magari circolano in Africa dei video sull’Italia che mostrano solo case luminose, con grandi schermi televisivi e ben arredate, ristoranti e bar pieni di gente allegra e spensierata, centri commerciali stracolmi di merci e affollati da persone che acquistano di tutto e pagano senza battere ciglio. A illustrare un tale Eldorado ci pensano per primi i “reclutatori”. Le persone che stabiliscono il primo contatto con chi desidera espatriare vengono chiamate così perché non si limitano a intercettare gli emigranti, ma cercano persone interessate ad andarsene e le invogliano a farlo: il traffico di esseri umani è un commercio multimiliardario, più gente parte e più si guadagna. Anche chi è andato via prima spesso contribuisce all’illusione.

È sempre successo che degli emigranti descrivano ai connazionali la loro situazione a tinte rosee, vantando quel che hanno e che possono fare senza accennare ai problemi, alle difficoltà, alle privazioni: un po’ per farsi invidiare e un po’ per far credere di essere persone di successo, con una vita migliore di chi è rimasto a casa. Ma adesso Josef si ritrova in una sorta di limbo, senza futuro, proprio come gli sembrava di essere a casa sua e peggio ancora: non manca di nulla e manca di tutto allo stesso tempo.