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VISITA IN GERMANIA

Erdoğan arrogante, Merkel in imbarazzo

Il presidente turco a Berlino inneggia ai Fratelli musulmani e si presenta con una lista di 69 turchi presenti in Germania di cui chiede l'estradizione. E la cancelliera Merkel commenta: “Ci sono ancora differenze profonde”.

Esteri 29_09_2018
Proteste in Germania contro il presidente turco Erdogan

La visita di stato di Erdoğan in Germania avrebbe dovuto mirare a riparare i rapporti in un momento anche di crisi economica interna che incombe. Ma il “sultano turco”, dopo appena ventiquattr’ore, ha solo dato prova di una innata capacità di essere offensivo. Le prime due cose che ha fatto sono state mostrare il saluto a quattro dita dei Fratelli Musulmani nel bel mezzo di Berlino e far arrivare sulla scrivania della Merkel la lista di 69 turchi, tra cui giornalisti e avvocati che indagavano sul suo governo, per l’estradizione.

Ma la cancelliera Angela Merkel non è parsa impressionata. Il presidente turco ha pure posato una corona di spine al Neue Wache – il monumento ai caduti di guerra – suscitando non poca sorpresa. Prima il colloquio con Frank-Walter Steinmeier, il presidente tedesco, tenuto al palazzo di Bellevue a Berlino. Secondo le indiscrezioni il colloquio è durato circa 75 minuti, all’ordine del giorno la questione dei detenuti politici in Turchia, ma anche “le questioni dello Stato di diritto e della libertà di espressione” nel Paese. L’atmosfera dell’incontro è stata definita “austera”, come quella che si respira a Berlino dalla vigilia dell’arrivo del “sultano”. Con le proteste di massa programmate e la delegazione di Erdogan a due passi dalla Porta di Brandeburgo, la sicurezza nel centro di Berlino è stata insolitamente intensa. Alcune parti del centro erano completamente bloccate e altre brulicanti di poliziotti.

Dopo il colloquio con Steinmeier, è stato, poi, il turno della conferenza stampa con Angela Merkel. “Immagino che sappiate che Can Dundar è una spia, che è una persona che ha rivelato segreti di Stato e che un tribunale l'ha condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere”, è stato l’esordio di Erdoğan. “È un nostro diritto fondamentale cercare l'estradizione di un condannato. Abbiamo chiesto l'estradizione di una persona del genere contro la quale c'è una condanna definitiva”.

Dundar è scappato dalla Turchia nel 2016 dopo essere stato giudicato - e attualmente sta affrontando un secondo processo in Turchia in contumacia – colpevole di tradimento e spionaggio e per aver segnalato un anno prima che i servizi segreti della Turchia avevano consegnato armi allo Stato islamico. Sua moglie è in Turchia e non le è permesso lasciare il Paese. L'ex direttore di ‘Cumhuriyet’ era atteso alla conferenza stampa, ma ha poi fatto sapere che non avrebbe partecipato: la Turchia aveva infatti minacciato di cancellare l’appuntamento istituzionale se Dundar fosse stato presente.

Alla domanda se la signora Merkel considerasse una provocazione il fatto che il nome di Dundar fosse nella lista di estradizione, la cancelliera è stata schietta, “Non è un segreto che ci siano controversie in questo caso”. E sebbene non abbia risparmiato critiche, era visibilmente a disagio mentre mostrava una diplomazia maldestra: una potenza occidentale che deve fare i conti con un dittatore in erba ai confini dell'Europa, è una vera patata bollente. E come se non fosse bastato già il clima teso, ad un certo punto la conferenza stampa è stata interrotta da un fotografo che in prima fila ha mostrato una maglietta con un messaggio di sostegno ai giornalisti tedeschi imprigionati in Turchia. L'uomo è stato rapidamente allontanato dalla sicurezza sotto lo sguardo sornione, ma neanche troppo, di Erdoğan. E il noto quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha descritto la scena come “una cosa che ti aspetteresti di più nella Turchia di Erdoğan”.

“Ci sono ancora differenze profonde”, ha scandito Angela Merkel nel rispondere alle domande dei giornalisti circa la libertà di stampa e lo Stato di diritto mentre il suo interlocutore, Recep Tayyip Erdoğan, non batteva ciglio. Ed è questa l'istantanea che rimarrà, probabilmente, della conferenza stampa congiunta. La Merkel ha insistito poi sul fatto che “è necessario trovare rapide soluzioni” per i tedeschi in stato di arresto (attualmente si tratta di almeno cinque persone, finite nelle carceri turche con dubbie accuse di terrorismo).

Ma non è stato facile, per la cancelliera, ripetere quel “molto ci unisce” a più riprese: uno dei fili rossi che ancora legano Germania e Turchia è il comune interesse a non spezzare i legami economici tra i due Paesi e l’immigrazione. Lo dice Merkel, lo ripete Erdoğan. Difficile dargli torto, data la grande crisi valutaria che sta sconquassando il Paese, con la lira turca che solo quest'anno ha perso circa il 40% del proprio valore. E nel pomeriggio di ieri Erdoğan ha infatti incontrato a Berlino i rappresentanti del mondo dell'imprenditoria e dell'economia tedesca.

Viene naturale, per una mediatrice navigata come Merkel, puntare sulle “molte cose che ci uniscono”: per esempio l'alleanza comune nella Nato e la questione migranti, dato che con Ankara è in vigore un sostanzioso accordo sul tema.  E sul fronte della politica internazionale, la cancelliera ha quindi annunciato un vertice a quattro sulla Siria insieme a Macron, Putin e lo stesso Erdoğan. In particolare, Merkel è preoccupata della situazione a Idlib. E del resto il futuro dell’Unione europea potrebbe ancora essere nelle mani del sultano turco. E il motivo è proprio da ricercare a Idlib. Il 17 settembre, il presidente turco ha siglato con il suo omologo russo un patto per sospendere l’offensiva dell’esercito siriano sulla roccaforte ribelle.

Il patto prevede una zona demilitarizzata che renda impossibile, almeno per un mese, lo scontro fra esercito di Bashar al Assad e i miliziani delle sigle islamiste presenti nella provincia, di cui la maggioranza è controllata da Hayat Tahrir al-Sham, la branca siriana di Al Qaeda.

Erdoğan ha cercato di evitare l’assalto a Idlib soprattutto per un due motivi. Il primo è quello di non perdere l’influenza su un’area fondamentale per la sua strategia siriana, il secondo sono i rifugiati.

Il fatto che Erdogan abbia blindato costantemente il confine con carri armati, blindati e fortificazioni, non è soltanto un “deterrente” a una possibile operazione congiunta russo-siriana. Il vero motivo è quello di monitorare l’eventuale fuga di centinaia di migliaia di persone da Idlib: un incubo che vedrebbe la Turchia come terra di un esodo biblico. 

A fronte di questo delicatissimo equilibrio, Erdoğan potrebbe fare quello che ha fatto per molto tempo: aprire le frontiere turche e lasciare che i rifugiati tornino a intasare la rotta balcanica. E la cosa non può che terrorizzare l’Europa, che si vede abbandonata nelle mani del sultano. E la Merkel lo ha capito.