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L'ANNIVERSARIO

Europa, una cura sbagliata per un collasso evidente

Verso il 60esimo dei Trattati di Roma il governo ottiene una dichiarazione congiunta dei 27 governi senza coinvolgere i Parlamenti. Sempre più scelta di vertice, sempre meno di popolo. Nessun cenno all'evidente fragilità di un’Europa sviluppatasi a prescindere dalla propria storia e dalla propria identità. Come invece rimarcato dal segretario di Stato Vaticano Parolin.

Editoriali 23_03_2017

La gravità della crisi in cui versa l’Ue ha trasformato il 60° anniversario dei trattati da cui nacquero le prime istituzioni europee, in programma questo sabato a Roma in Campidoglio, in un intervento urgente di terapia intensiva. In tale spirito Gentiloni è riuscito a ottenere che la cerimonia culmini nella firma di una dichiarazione sottoscritta da tutti i capi di Stato e di governo degli attuali 27 Paesi membri. E’ una scelta significativa della cura sbagliata con cui l’odierno ordine costituito cerca di evitare il collasso dell’Unione.

Al di là di tutte le cause immediate, l’Europa è in crisi perché appare sempre più come una realtà di governi e sempre meno come una realtà di popoli. Un solenne segno di svolta sarebbe stata piuttosto una dichiarazione votata dal Parlamento Europeo, l’unico organismo comunitario democraticamente eletto, convocato per la circostanza a Roma in via straordinaria. 

In quanto poi alla dichiarazione, era inteso si trattasse solo di un testo cerimoniale, e non della firma di nuovi impegni. Il nostro governo, forse imbeccato da Berlino, aveva però furbescamente tentato di infilare tra le righe l’approvazione del principio della cosiddetta “doppia velocità”, che in sede di Consiglio europeo solo pochi giorni fa non era passato per l’opposizione della Polonia e di altri Stati membri dell’Europa orientale. Questi però non ci sono cascati. Pertanto la frase “alcuni di noi possono avvicinarsi, andare più velocemente in alcune aree” è stata sostituita dalla frase “Agiremo insieme ogniqualvolta sarà possibile, a differenti ritmi e intensità dove necessario (…)”. La questione sembrerebbe di lana caprina; nella realtà delle cose invece sfumature del genere possono anche avere conseguenze molto concrete. Perciò a nostro avviso bene hanno fatto Polonia e Paesi Baltici a esigere quella correzione.

Almeno da ciò che finora è trapelato, nel documento, lungo circa una pagina e mezza, si passa dall’autocelebrazione del passato alle buone intenzioni per il futuro. Nessun cenno invece al nocciolo della questione, ossia all’ormai evidente fragilità di un’Europa che, avendo preteso di svilupparsi a prescindere dalla propria storia e dalla propria identità culturale, sul piano sia economico che politico si dimostra ora incapace di navigare nel mare tempestoso del nostro tempo. 

Mal servito da un titolo che parla d’altro, è proprio questo invece il tema principale, di un’interessante intervista al Segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, apparsa ieri sia sul quotidiano torinese La Stampa che sul sito Vatican Insider. Nell’intervista Parolin osserva innanzitutto che “L’anima del progetto europeo, secondo l’idea dei Padri fondatori, trovava la sua consistenza nel patrimonio culturale, religioso, giuridico, politico e umano su cui l’Europa si è edificata nei secoli. Roma fu scelta come sede della firma dei Trattati perché simbolo di questo patrimonio comune che certamente ha anche nel cristianesimo un suo elemento fondamentale (…).

A proposito delle radici cristiane Parolin afferma poi senza mezzi termini che esse, “sono la linfa vitale dell’Europa”. E continua sottolineando che basta “rileggere i discorsi che i protagonisti del 25 marzo 1957 tennero in Campidoglio, per scoprire come essi vedessero nel comune patrimonio cristiano un elemento fondamentale sul quale costruire la Comunità economica europea. Poi è subentrato un lento processo che ha cercato di relegare sempre più il cristianesimo all’ambito privato. È stato così necessario ricercare altri denominatori comuni, apparentemente più concreti, ma che hanno condotto a quel vuoto di valori cui accennavo prima, con gli esiti che abbiamo dinanzi agli occhi di società sempre più frammentate”. 

L’analisi è chiara e trova nei fatti una conferma quanto mai convincente. Eppure sappiamo già che sabato a Roma si dirà di tutto salvo ciò che sarebbe il caso di dire. In questa situazione che cosa i cristiani possono fare? Alla domanda il Cardinale dà una risposta che va oltre la cronaca. “In questo contesto”, egli conclude, “ritengo che i cristiani siano chiamati a offrire con convinzione la loro testimonianza di vita”.  L'uomo contemporaneo infatti, aggiunge citando una celebre frase di Paolo VI, «ascolta più volentieri i testimoni che i maestri»”. E’ un compito cui siamo chiamati tutti nei modi propri delle nostre varie vocazioni e condizioni.