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IL CASO

Fake news, Renzi e la legge ad personam

Il neonato gruppo di Renzi “Italia viva” ha esordito in Parlamento con la presentazione di una proposta di legge vendicativa: la richiesta di istituire una commissione d’inchiesta, pagata dai cittadini, per indagare sui casi di diffusione di fake news in particolare per il referendum del 2016 perso da Renzi. Un caso di legge ad personam, solo che nel suo caso di fake news non c'era la benché minima ombra. 

Editoriali 11_10_2019

Molti credevano che a passare alla storia per le leggi “ad personam” dovessero essere solo i governi Berlusconi, contrassegnati da alcuni vistosi conflitti di interessi mai definitivamente superati. Tutto ciò che è accaduto dal 2011 in poi smentisce però quest’ordine di pensiero e fa quasi rimpiangere quanto accaduto nella stagione del Cavaliere, quando c’erano fondate ragioni per dubitare della sincerità di molte scelte di governo ma almeno la competenza di alcuni ministri consentiva al Paese di stare a galla, nonostante l’ostracismo di alcuni ambienti internazionali.

Oggi sembra prevalere la logica delle ripicche e delle vendette, con singoli leader politici che si fanno la guerra tra loro per affermare ciascuno i propri interessi di bottega e quelli delle proprie consorterie, senza alcun progetto di Paese e senza alcuno spirito democratico.

L’ultimo esempio in ordine di tempo arriva da Matteo Renzi, che aveva promesso solennemente agli italiani che avrebbe lasciato la politica se avesse perso il referendum del dicembre 2016 e invece ora, con un’abile operazione di palazzo, si ritrova in maggioranza pur essendo stato sonoramente sconfitto dagli elettori.

Il suo neonato gruppo “Italia vivaha esordito in Parlamento con la presentazione di una proposta di legge che la dice lunga sull’ansia di vendetta dell’ex premier ed ex sindaco di Firenze. Oggetto di quell’iniziativa legislativa la lotta alle fake news e l’idea di istituire una commissione d’inchiesta, pagata dai cittadini, per indagare sui casi di diffusione seriale e massiva delle notizie false attraverso i social network.

Ma come mai Matteo Renzi si preoccupa così tanto delle fake news visto che il primo diffusore di fake news è proprio lui che aveva annunciato il ritiro dalla politica e invece è ancora lì a tramare per tornare a Palazzo Chigi? Peraltro si è rivelata una fake news anche quella della presunta persecuzione nei suoi confronti con riferimento all’inchiesta sui suoi genitori, che giorni fa sono stati condannati per fatture false a un anno e nove mesi di reclusione.

Ma lui è convinto che a fargli perdere il referendum siano stati i complotti orditi nei suoi confronti, non si sa da chi, e la propalazione avvelenata di fake news su di lui e sulla sua famiglia. Di qui la proposta di combattere il fenomeno per via legislativa. Un’idea che ricorda tanto le leggi “ad personam” perché parte proprio dal desiderio dell’ex premier di togliersi un sassolino dalla scarpa e di vendicarsi con chi, dentro e fuori il Pd, gli ha remato contro.

"L'importanza sempre maggiore dei social network per la formazione dell'opinione pubblica nelle società democratiche ha, negli ultimi anni, generato il fenomeno delle cosiddette “fake news”, ossia delle notizie false che suscitano allarme sociale, spesso immesse nel circuito delle reti sociali telematiche (social network) per condizionare l'opinione pubblica di un Paese". Sono le righe iniziali della prima proposta di legge renziana arrivata alla Camera e che riguarda la lotta alle fake news, definite da Maria Elena Boschi, capogruppo del partito e prima firmataria, “delitti contro la Repubblica".

Italia Viva ha proposto dunque di istituire una commissione parlamentare d'inchiesta che indaghi sui casi di diffusione delle fake news attraverso i social network e di accertare tra l’altro se si è tentato in questo modo di "condizionare illecitamente o illegittimamente l’esito delle consultazioni elettorali o referendarie svoltesi nei cinque anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge o comunque di manipolare indebitamente il consenso elettorale". Nel perimetro applicativo della proposta di legge rientra quindi anche lo sciagurato referendum del dicembre 2016, che Renzi personalizzò fortemente e perse cocentemente, salvo poi non mantenere la promessa di uscire di scena.

La commissione d’inchiesta, stando alle intenzioni dei proponenti, dovrà altresì proporre "soluzioni di carattere legislativo e amministrativo al fine di realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto della commissione di delitti attraverso le piattaforme sociali sulla rete internet e di verificare l’adeguatezza dell’azione delle pubbliche amministrazioni competenti a svolgere attività di prevenzione e di repressione della diffusione sulle piattaforme digitali di fake news e di contenuti illeciti".

Secondo i renziani, dal referendum costituzionale del 2016 in avanti, si è verificato un crescendo nella diffusione di notizie false e occorre "dotare al più presto l’ordinamento di una specifica disciplina per contrastare la commissione di delitti attraverso le piattaforme sociali sulla rete internet". Per ottenere questo risultato, secondo quanto scritto nella proposta di legge, "è necessario responsabilizzare i fornitori di servizi di social network sui contenuti veicolati attraverso le proprie piattaforme, tutelare gli utenti da notizie costruite intenzionalmente per trarli in inganno e contrastare la commissione di reati attraverso la rete internet". Secondo la proposta di legge "I fornitori di social network devono dotarsi di procedure interne di eliminazione dei contenuti illeciti e di gestione dei reclami provenienti dagli utenti". Tutte cose che peraltro si stanno già realizzando su base europea, a partire dal settembre 2018, quando a Bruxelles è stato varato un codice di autoregolamentazione sulle fake news sottoscritto dai principali colossi del web e che ha dimostrato di funzionare anche in occasione delle ultime elezioni europee del maggio scorso. Ma per i renziani occorre ideare uno strumento che punisca chi diffonde falsità anche dal punto di vista penale e introdurre sanzioni pecuniarie. Per il funzionamento della commissione Italia Viva chiede 100mila euro all'anno. La cifra sarebbe per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per l’altra metà della Camera dei deputati.

Una proposta simile di legge – con contenuti in gran parte analoghi che includono un codice di autoregolazione per le piattaforme online e la necessità di verificare se e come la disinformazione in Rete sia sostenuta anche finanziariamente da gruppi organizzati o Stati esteri – era già arrivata alla Camera dal Pd. C’è la possibilità che le due proposte vengano accorpate. Tutto questo conferma che nella lotta alle fake news il canovaccio è lo stesso delle battaglie per la libertà d’informazione: ci si straccia le vesti solo quando si viene toccati in prima persona e si invoca trasparenza quando ci si ritiene danneggiati dalla diffusione di notizie negative per la propria immagine o pluralismo quando si perde il potere. Ma trasparenza, pluralismo e libertà d’informazione sono beni di tutti e come tali dovrebbero essere trattati dai rappresentanti del popolo, non piegati sempre e comunque a interessi di parte.