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INTERVISTA

«Famiglie scendano in piazza contro le unioni gay»

Parla Luisa Santolini, storica leader del Forum delle Famiglie dal 1994 al 2006: «Le manifestazioni in piazza sono un modo per dare voce a chi non ce l’ha e per mostrare che le famiglie sono una realtà concreta e viva, e vogliono contare per il bene di tutta la società». 

Famiglia 09_01_2016
Family Day 2015

«Le manifestazioni in piazza sono un modo per dare voce a chi non ce l’ha e per mostrare che le famiglie sono una realtà concreta e viva, e voglono contare per il bene di tutta la società». A parlare è Luisa Santolini, “storico” presidente del Forum delle Associazioni familiari, che ha guidato dal 1994 al 2006, anno in cui è stata eletta alla Camera dei Deputati dove è stata per due legislature, fino al 2013. La sua è una risposta a chi vuole scoraggiare un nuovo Family Day che potrebbe tenersi sabato 30 gennaio, durante la discussione al Senato del ddl Cirinnà che legalizzerebbe le unioni omosessuali. Così si punta sulla presunta inutilità delle manifestazioni addirittura accusando di fallimento il primo Family Day del 2007, come ha fatto recentemente il neo presidente del Forum delle Famiglie Gigi De Palo (a cui comunque la Santolini augura «tutto il bene possibile»). 

Signora Santolini, scendere in piazza ha ancora senso? In fondo sono in molti a dare già per persa la battaglia contro il ddl Cirinnà e si prende il Family Day del 2007 come esempio di manifestazione che in fin dei conti è stata inutile.
Inutile non direi proprio, fallimento men che meno. Cominciamo a dire che il 2007 è stata una grande intuizione, una mobilitazione di popolo come è avvenuto anche in Francia e Spagna, che ha avuto anzitutto il merito di dare voce a una realtà dimenticata dalla politica. Le famiglie hanno dimostrato, così come anche il 20 giugno scorso, di non essere passive e di capire molto bene qual è la posta in gioco. Ma anche dal punto di vista politico è stata un successo perché l’obiettivo era fermare una legge devastante come quella dei Di.Co., spinta dal governo Prodi, e la legge è stata fermata.
Certo, questo non significa che la piazza sia l’unica modalità: si deve fare lobby in Parlamento, si scende in piazza, si fa elaborazione culturale, si scrivono documenti importanti, si è presenti sui media; insomma, ci sono tanti modi per tenere alta la voce della famiglia alla luce della Dottrina sociale della Chiesa e difendendo l’articolo 29 della Costituzione italiana, che riconosce la famiglia come società naturale.

L’obiezione che viene fatta è che sì, i Di.Co. furono fermati, ma poi per promuovere le politiche familiari non si è fatto più niente. 
Anzitutto dobbiamo riconoscere che grazie all’azione del Forum delle Famiglie e al Family Day nel nostro Paese si è cominciato a parlare di famiglia, una parola che non si pronunciava neanche più in politica. Che poi le forze politiche non abbiano avuto la cultura o il coraggio di portare avanti le proposte che le famiglie presentavano è responsabilità loro. È vero che molte cose non sono state fatte, ma questo non è un argomento per dire che non si va in piazza, al contrario. dare voce a chi non ha voce è tra l'altro la mission del Forum delle Famiglie.

Si dice che i tempi oggi siano cambiati…
… Sì, ma in peggio. E questa è una ragione in più per lavorare su tutti i fronti. L’attacco alla famiglia è a livello planetario, sicuramente a livello europeo, è un attacco organizzato e portato in profondità. Quindi dobbiamo essere presenti in tutti i modi possibili, e la piazza è uno dei modi. Lo hanno fatto in Francia, fermando leggi perniciose, e anche in Italia bisogna dare la voce a queste famiglie. Poi ognuno si deve prendere le proprie responsabilità. Se le forze politiche ritengono di ignorare questo popolo, non mettere in agenda la famiglia, e perseguire gli interessi particolari di una minoranza a scapito del bene comune, ebbene porteranno il peso delle loro decisioni. 

Ma non crede che ci sia il rischio di un muro contro muro, come molti, anche ecclesiastici, paventano?
Dipende da quello che si dice e si fa. Sia nel 2007 sia lo scorso 20 giugno abbiamo visto manifestazioni gioiose, allegre, famiglie intere che arrivano a Roma non per inveire contro qualcuno ma per affermare i propri valori e princìpi, famiglie che vogliono dire la loro. E dove la dicono? In piazza. Parliamo di famiglie vere, non manifestazioni come quelle con i pullman pagati come succede per i sindacati. Abbiamo visto tutte famiglie che pagano di persona per esserci, che mobilitano i loro figli, che fanno cose straordinarie, esclusivamente per difendere i propri figli e il proprio futuro. È un desiderio di esserci che non capisco perché debba essere ritenuta una cosa sbagliata. Questo non significa alzare i muri. Se uno si dichiara contro una legge contraria al bene comune, che sarà devastante per i prossimi anni, non significa che vuole lo scontro. Le manifestazioni servono per fare presente un problema, se poi il governo non ascolta ognuno si prende la sua responsabilità. Del resto sono sempre più convinta che davvero sono le famiglie che salveranno le famiglie: a scuola, in tv, sulle questioni del fisco, del lavoro e dei valori che sono fondativi e fondamentali. Se si perde di vista cosa è la famiglia non abbiamo più niente da insegnare ai nostri figli. 

Lei prima ha fatto cenno all’azione di lobby in Parlamento. Il nuovo presidente dice che il Forum delle famiglie non deve fare lobby.
Ma se il Forum è nato apposta per questo motivo. Giovanni Paolo II sosteneva che la famiglia è un prisma attraverso cui devono passare tutte le politiche. Tutte. Ricordo che quando nel novembre 1993 abbiamo presentato – 23 associazioni familiari - il decalogo per la difesa della famiglia, organizzammo un seminario con le più belle teste pensanti in Italia sul fronte della famiglia. Lì erano presenti tutti gli aspetti: la tutela della vita, la difesa della famiglia, compresa la libertà di scelta educativa di cui peraltro non si parla più; poi il lavoro e tutto il resto. Ma la premessa è la difesa dell’articolo 29 della Costituzione, che riconosce la famiglia come società naturale, perché altrimenti si rischia di avere delle politiche familiari ma senza più la famiglia, come è accaduto nel Nord Europa. L’Italia è forse l’unica nazione che ancora resiste perché c’è un tessuto di famiglie che si rende conto di essere la vera risorsa di questo paese.  È una ricchezza da difendere. Peraltro su questo punto i documenti della Chiesa sono chiarissimi. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno spinto molto in questo senso e anche papa Francesco ha detto con chiarezza che i laici si devono muovere, è loro la responsabilità nella società e davanti ai loro figli. Quindi bisogna agire su tutti i fronti.

In effetti durante la sua presidenza c’è stato un grande lavoro di dialogo con le forze politiche. A parte l’aver fermato i Di.Co. ci sono altri risultati che la vostra azione ha ottenuto?
Intanto potrei dire che quando ero io in Parlamento abbiamo fermato anche la legge sull’omofobia, che avrebbe colpito la libertà di pensiero e di espressione, perfino il semplice sostegno alla famiglia naturale sarebbe stato perseguito. Ma guardando indietro ricordo che dal Forum sono nate anche la legge sull’adozione e quella sull’affido condiviso. Al proposito voglio sottolineare che la nostra azione di lobby è sempre stata trasversale, abbiamo lavorato con esponenti di tutti i partiti, perché non c’è nulla di ideologico nel promuovere i valori della famiglia. Anche a livello locale è stato così. Come a Parma ad esempio, diventata un modello e premiata come città della famiglia. Lì, grazie al sindaco Urbani e alla responsabile dell’Agenzia per la Famiglia, Cecilia Greci, abbiamo creato pacchetti per la famiglia con diverse facilitazioni. Abbiamo fatto cose straordinarie: tariffe commisurate al numero dei figli, politica della casa, iniziative scolastiche, di welfare con famiglie che aiutavano altre famiglie. Purtroppo è bastato che fosse eletto un sindaco 5 Stelle e in tre mesi è stato smantellato tutto. Quello che non si accetta è che la famiglia abbia dei diritti e dei riconoscimenti in quanto famiglia. Le implicazioni educative di questa negazione sono tremende, perché stiamo dicendo ai nostri figli che tutto è indifferente, tutto uguale. 

Però il quoziente familiare non l’avete ottenuto.
In realtà il Forum delle famiglie non ha mai sostenuto il quoziente familiare, ma una proposta fiscale più articolata e molto ben studiata, che poi è stata chiamata “Fattore famiglia”, vantaggiosa sia per le famiglie sia per lo Stato. Era un progetto di legge che quando sono entrata in Parlamento ho fatto mio, ma non è mai stata presa in considerazione. Non c’è dubbio che la politica sia sorda a queste istanze. Non è colpa del Forum o di errori fatti, semplicemente le forze anti-famiglia in Parlamento hanno una presenza massiccia. Così ho trovato un muro totale e neanche il mio partito (UDC) mi ha aiutato: nessuno vuole mettere in crisi un governo su questo punto. Non è mai caduto un governo per questioni legate alle politiche familiari e lo stiamo vedendo anche in questi giorni. Per questo è ancora più importante che ci sia una mobilitazione delle famiglie, per dire a tutti che le famiglie ci sono e vogliono contare, a favore di una corretta visione della società.

Negli ultimi anni l’azione del Forum sembra essere diventata farraginosa, un po’ in ritirata. Anche nella manifestazione del 20 giugno il Forum è rimasto in ufficio mentre le famiglie affluivano in Piazza San Giovanni e malgrado l’urgenza posta dal ddl Cirinnà sembra che si voglia parlare d’altro. Probabilmente non giova una dipendenza troppo stretta dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Da quando sono uscita nel 2006 per correttezza mi sono fatta da parte e non ho più seguito direttamente le vicende del Forum, quindi non so proprio dire come stiano le cose oggi. Posso solo dire che noi all’inizio avevamo assoluta autonomia nei confronti della CEI, nei 12 anni di presidenza mai avuta una direttiva, mai sono andata a chiedere indicazioni su quel che avremmo dovuto fare. A prendere le decisioni, a decidere cosa dire e cosa fare eravamo solo noi: il nostro consiglio direttivo si riuniva spessissimo, avevamo bisogno di confrontarci, ed eravamo un gruppo granitico, compatto. Avevamo anche il nostro comitato scientifico, con i più brillanti esperti di politiche familiari: Marco Martini, Pierpaolo Donati, Eugenia Scabini, Giancarlo Blangiardo, Stefano Zamagni e altri. Un’enorme ricchezza di cervelli, con cui elaboravamo proposte, politiche, incontri. Mai un intervento di vescovi.