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EDITORIALE

Francesco e Kirill, incontro più "politico" che spirituale

Il luogo, il patrocinio di Putin, le manovre in vista del Concilio pan-ortodosso, l'assenza di riti religiosi: sono questi alcuni elementi da tener presenti nel valutare l'incontro a Cuba. Senza dimenticare l'ammonimento di Ratzinger a proposito di ecumenismo condizionato da categorie politiche.

Editoriali 12_02_2016
Francesco e Kirill

L’incontro che avverrà stasera all’aeroporto de L’Avana tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill è certamente un evento eccezionale, la prima volta nella storia che c’è un faccia a faccia tra un Papa e un patriarca di Mosca. Ma l’incontro in campo "neutro" – voluto espressamente da Kirill fuori dell’Europa – avrà una valenza più politica che spirituale, anche se i protagonisti sono due sommi ecclesiastici. 

Il primo elemento è il luogo dell’incontro, Cuba. Raul Castro è stato ben contento di facilitare l’evento tra il Papa, che nella recente visita al Paese ha fatto tutto il possibile per dimostrare la propria disponibilità nei confronti del regime, e il patriarca ex sovietico.

Qui si lega il secondo elemento, il patrocinio del presidente russo Vladimir Putin, che non ha soltanto autorizzato questo incontro, l’ha voluto nella prospettiva degli interessi geopolitici della Russia. Del resto il patriarca Kirill è molto legato al presidente e non da oggi. Egli ha infatti un curriculum che lo vede dagli anni '70 del secolo scorso uomo fidato del KGB (nome in codice Mikhailov), cosa che gli consentiva di andare in giro al di fuori dell'impero sovietico, in missione ecumenica - come si credeva allora dai cattolici ecumenici –. Un legame con il potere che arriva fino all’era Putin, che peraltro viene lui stesso dal KGB, anche se in tempi recenti si è convertito all’Ortodossia.

E ancora: questo evento va anche visto nella prospettiva del prossimo Concilio pan-ortodosso dove il rapporto con il Papa diventa un elemento di confronto tra Mosca e Costantinopoli (il patriarca Bartolomeo già può vantare un rapporto consolidato con papa Francesco).

Si deve poi notare che l’incontro avrà un aspetto molto personale, visto che non è prevista una preghiera cosiddetta ecumenica né la presenza in un luogo sacro. Né a questo supplirà la dichiarazione di rito, la firma congiunta di un documento che a quanto è dato sapere si risolverà in un impegno etico su temi sociali.

Senza sottovalutare l’importanza comunque dell’incontro e dell’atteggiamento di papa Francesco, che ha rinunciato a qualsiasi pre-condizione pur di fare in modo che accadesse, non si può tacere il rischio - presente soprattutto in tanti commentatori cattolici - di un ecumenismo che occulta le appartenenze, pensando così di facilitare l’unità. Come disse l’allora cardinale Joseph Ratzinger già negli anni ’80 del XX secolo, questo approccio – caro a tanti cattolici professionisti dell’ecumenismo – crea invece maggiori divisioni.

Descrivendo le delusioni in questo campo succedutesi agli entusiasmi post-conciliari, Ratzinger se la prende con quanti «hanno concepito l'ecumenismo come un compito diplomatico secondo categorie politiche. Come da buoni intermediari ci si aspetta che appunto si addivenga dopo un certo tempo a un accordo per tutti accettabile, così si è potuto credere di attendersi tutto ciò dall'autorità ecclesiastica in questioni di ecumenismo». Riflessioni contenute nella raccolta di saggi intitolata Chiesa, ecumenismo e politica, un volume che resta attuale e anzi è consigliato per chi vuole capire la posta in gioco nell’ecumenismo.