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DOPO IL VOTO FRANCESE

Francia-Italia Due astensioni a confronto

Astensioni altissime in Francia e Italia per i rispettivi turni elettorali. E’ il metodo stesso delle elezioni, chiave di volte delle moderne democrazie rappresentative, ad essere rifiutato. In Francia sono state vissute come una ratifica delle presidenziali. In Italia per gli elettori è sempre più difficile capire quali siano le questioni sul tappeto. Servono nuove forme di democrazia diretta. 

Editoriali 13_06_2017

Poche settimane dopo aver portato Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica francese, En Marche, un partito che fino a due anni fa nemmeno esisteva, ha vinto domenica scorsa il primo turno delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale. Ed è molto probabile che esca dal turno di ballottaggio con la maggioranza assoluta dei seggi. Al partito di Macron, che ha ottenuto il 32,32 per cento dei voti,  seguono i Repubblicani di François Fillon con il 21,56, il Front National di Marine Le Pen con il 13,2, La France insoumise (La Francia ribelle) di Jean-Luc Mélenchon con l’11,02, e il Partito socialista e alleati con il 9.51 per cento. Le astensioni, che ormai da decenni continuano a ad aumentare anche in Francia, hanno raggiunto il 51,29 per cento. Quello di chi non va a votare è ora divenuto il partito di maggioranza assoluta.

Prima di entrare nello specifico dell’esito di queste elezioni francesi soffermiamoci sul tema dell’astensione, che le accumuna al contemporaneo appuntamento elettorale italiano. Nei 1004 comuni del nostro Paese, dove in quella stessa domenica si votava,  quasi il 40 per cento degli elettori non si è recato alle urne. Qualcuno potrebbe dire che i due casi non sono comparabili trattandosi di due eventi assai diversi sia per dimensioni che per peso politico. Non è così: anzi, è proprio la loro eterogeneità a rendere significativo il confronto. 

E’ il metodo stesso delle elezioni, chiave di volte delle moderne democrazie rappresentative, ad essere rifiutato. In Francia si è detto che le elezioni legislative, le  quali seguono da vicino le elezioni presidenziali, vengono vissute più che altro come una ratifica di queste ultime; e quindi coloro che non amano il Presidente eletto non vi partecipano. In Italia  si è detto che per gli elettori è sempre più difficile capire quali siano le questioni sul tappeto. Questo però potrebbe essere vero per le grandi città e non per i piccoli comuni. Eppure anche in questi ultimi l’astensione non si discosta molto dalla media generale. Nel comune alle porte di Varese, con poco più di mille abitanti, dove è residente che scrive, solo il 63,95 per cento degli elettori si è recato a votare; meno di quattro punti in più rispetto alla media nazionale. E questo benché per ovvi motivi: i candidati fossero noti a tutti di persona; i problemi del paese fossero ben presenti a tutti; le soluzioni proposte fossero a tutti immediatamente comprensibili. Ciò conferma che alla base del rifiuto del metodo delle elezioni ci sono motivi che vengono prima e che sono ben più profondi delle varie possibili ragioni immediate.

E’ pur vero che il sistema rappresentativo, che perciò implica l’elezione del rappresentante, è una novità che entra nella storia della democrazia solo a un certo punto, dopo secoli di sistemi di democrazia diretta.  Come fare però a passare a nuove forme di democrazia diretta compatibili con la realtà e le situazioni in cui oggi viviamo? La soluzione non sembra già a portata di mano, ma almeno occorre cominciare a pensarci.

 

Veniamo adesso al caso delle elezioni legislative francesi, che nel turno di ballottaggio prevedono pure la possibilità di una scelta fra tre candidati. Questa volta ciò accadrà tuttavia in un solo collegio, mentre negli altri i candidati in lizza saranno soltanto due; nella metà dei casi da una parte un candidato di En Marche, il partito del Presidente, e dall’altra un candidato dei Repubblicani di Fillon e alleati. Il Partito socialista, che all’inizio della presidenza di François Hollande era la forza di maggioranza ad ogni livello, oggi è in pratica scomparso. Restano alla ribalta due principali formazioni: l’una di centrosinistra, En Marche, di orientamento liberal-radicale, e l’altra di centrodestra, i Repubblicani, di orientamento liberale e cattolico-liberale.

Anche in Francia, come in Italia, sulla scena politica l’eredità marxista si è ormai estinta. Però con una differenza importante: in Italia il vuoto che lo svanire di tale eredità  sta lasciando viene quasi del tutto riempito da progetti e da parole d’ordine di matrice relativista-radicale in cui da un estremo all’altro della scena pubblica si ritrovano mano nella mano personaggi di diversa bandiera ma di uguale pasta, da Monica Cirinnà a Michela Brambilla. In Francia invece tra i  Repubblicani, pur disorientati dalla recente disfatta nelle elezioni presidenziali, resta ancora viva una “riserva indiana”, sostenuta a distanza dai “manif pour tous”, da cui potrebbe anche nascere qualcosa di interessante. E’ una vicenda da seguire con attenzione.