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EDITORIALE

Gaudium et Spes, una partita ancora aperta

Ricorre oggi il cinquantesimo anniversario della pubblicazione della Costituzione pastorale Gaudium et spes con cui, di fatto, si è concluso il Concilio Vaticano II. È stato il testo più combattuto del Concilio e quello più usato per ispirare teologie "umaniste" discutibili. Eppure l'allora cardinale Ratzinger nel 2000 aveva chiarito il criterio teocentrico con cui leggerla.

Editoriali 07_12_2015
Concilio Vaticano II

Ricorre oggi il cinquantesimo anniversario della pubblicazione della Costituzione pastorale Gaudium et spes con cui, di fatto, si è concluso il Concilio Vaticano II. Era stata discussa, dopo un iter redazionale lungo e controverso, dal 21 settembre all’8 ottobre 1965 e approvata il 6 dicembre con 2111 placet e 251 non placet. Porta la data del 7 dicembre 1965. Il giorno successivo Paolo VI avrebbe chiuso il Concilio.

La Gaudium et spes, insieme con la Costituzione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, è stato il testo più combattuto del Concilio, quello maggiormente utilizzato a simboleggiare la “svolta” conciliare e più frequentemente citato come espressione dello spirito del Concilio e, quindi, anche quello su cui si scontrano di più entusiasti e perplessi, convinti e titubanti. Un testo dalla vicenda non ancora conclusa. Sulla sua eredità vera la discussione è ancora aperta.

La Gaudium et spes fu il frutto più evidente della scelta pastorale fatta da Giovanni XXIII fin dal discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia. Chi, però, pensava che si trattasse di tenere intatta la dottrina e di rivedere solo la pastorale si illudeva. Il Vaticano II, allo scopo di aggiornare la pastorale, dovette ripensare anche la dottrina. Non la ripensò però tutta, in quanto proprio per motivi pastorali fece delle omissioni e delle riduzioni. Data la scelta pastorale, il Concilio avrebbe dovuto ripensare tutta la dottrina ed essere addirittura ancor più dottrinale dei concili precedenti che della dottrina si occupavano di alcuni aspetti dottrinali e basta, ma contemporaneamente non poteva esserlo fino in fondo per non pregiudicare l’aggiornamento relativo all’apertura al mondo. La pastoralità ha richiesto la dottrina ma poi l’ha anche limitata.

Anche nella Gaudium et spes questo è evidente. C’è il ripensamento dottrinale, per esigenze pastorali, del rapporto Chiesa-Mondo, ma del mondo viene messa in evidenza soprattutto la valenza positiva; c’è il ripensamento del rapporto tra Chiesa e modernità, ma si evita di parlare del comunismo, senza del quale la modernità è difficilmente comprensibile. Questo è stato osservato da molti, dal cardinale Giacomo Biffi al “Contadino della Garonna” Jacques Maritain e quindi, come si dice, ormai appartiene agli atti.

Non che con questo il problema sia risolto. Con la Gaudium et spes la Chiesa ha accettato il mondo moderno? Difficile rispondere sulla base della sola Gaudium et spes. Per rispondere bisogna prendere il Catechismo, frutto maturo del Concilio, voluto da Giovanni Paolo II e, in quella luce, leggere la Gaudium et spes. Purtroppo, però, si è fatto spesso il contrario.

Appellandosi alla Gaudium et spes sono nate le più svariate teologie. Segno che questa Costituzione manifesta un bisogno di interpretazione autentica, a cui il Magistero successivo non si è sottratto. Ciò è dovuto anche al suo linguaggio non definitorio ma narrativo ed esistenziale. Un linguaggio suggestivamente pastorale – come per esempio il poetico incipit -  che però doveva veicolare contenuti dottrinali. Un problema non da poco. Capita così che alcune frasi della Gaudium et spes per essere correttamente interpretate, abbiano bisogno di altre frasi dello stesso documento, o di altri documenti del Concilio o del Catechismo della Chiesa Cattolica. 

Nella Gaudium et spes si dice che la persona è “principio, soggetto e fine della società” e che “l’attività umana come deriva dall’uomo così è finalizzata all’uomo”. Frasi simili, prese da sole, potrebbero far pensare che l’uomo abbia sostituito Dio. C’è bisogno, allora, di riferirsi ad altri punti del documento, come quando si dice che “la ragione principale della dignità umana consiste nella chiamata dell’uomo alla comunione con Dio” oppure che “senza il Creatore la creatura viene meno”. Per altri punti bisogna completare il quadro anche cercando al di fuori della Gaudium et spes.

Con ciò abbiamo toccato il punto fondamentale. Molti hanno letto la Gaudium et spes come la rinuncia della Chiesa alla centralità di Dio nella costruzione del mondo secolare e l’accettazione di una posizione almeno paritetica della Chiesa e del mondo. In una famosa lezione del 2000, tenuta in occasione del Giubileo per il nuovo millennio, il cardinale Joseph Ratzinger aveva sostenuto che lo scopo dei Padri Conciliari era stato di ribadire la centralità di Dio. Il Concilio non era stato antropocentrico, né ecclesiocentrico, ma teocentrico. Dopo cinquant’anni molte letture della Gaudium et spes, anzi oggi forse più di ieri, non seguono queste indicazioni dell’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Continua ad essere diffusa l’idea della “svolta antropologica” della Gaudium et spes. E’ invece facilmente argomentabile, anche per questo documento conciliare, che Ratzinger aveva ragione. Il paragrafo 36 che parla dell’autonomia delle realtà terrene si affretta a precisare che “la creatura viene ottenebrata se dimentica Dio”. Il paragrafo 40, secondo cui la Chiesa “cammina con tutta l’umanità” dice anche che essa “diffonde su tutto il mondo il riflesso della sua luce”. Nel 41, ove si parla del progresso umano, viene detto che questo movimento dev’essere impregnato di spirito del Vangelo e protetto contro ogni specie di falsa autonomia”.

La storia della Gaudium et spes non è finita. Essa va restituita a se stessa, così come il Concilio va restituito a se stesso. Cosa difficile, però, se della Gaudium et spes si citano solo e sempre le prime righe, per di più dimenticando l’avverbio “veramente” prima dell’aggettivo “umano”: “La gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia degli uomini d’oggi, soprattutto dei poveri e di tutti i sofferenti, sono anche la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia dei discepoli di Cristo, e non c’è nulla di veramente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Senza Dio, quell’avverbio cade.