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IL VIAGGIO APOSTOLICO DEL PAPA

Gesù, il wi-fi e la pastorale dello smartphone

Nel suo terzo giorno in Cile il Papa ha affrontato le tematiche del prossimo Sinodo dei giovani con una metafora legata all'oggetto più utilizzato da loro: lo smartphone. La connessione, la batteria e il wi-fi: Gesù è più forte.

-MULLER, QUANDO CORREGGERE PIETRO di M. Tosatti 

Ecclesia 18_01_2018
Il Papa al santuario di Maipu

La mattina del secondo giorno del suo viaggio in Cile il Papa ha vissuto uno degli appuntamenti più attesi, quello della messa celebrata all’Aerodromo di Maquehue a Temuco nel sud del paese. Qui incontrava le popolazioni autoctone, tra cui i Mapuche, gruppo etnico che da tempo rivendica terra e autonomia. Il primo giorno si era concluso, invece, con l’incontro privato di alcune vittime di abuso da parte del clero, una piaga che ha ferito la chiesa del Cile e per cui non mancano le polemiche anche su Papa Francesco.

UNITA’ RICONCILIATA, MA NON CON LA VIOLENZA

Francesco inizia l’omelia all’aerodromo di Temuco in lingua mapuche, «Mari Mari», buongiorno, «Küme tünngün ta niemün», la pace sia con voi. Il luogo della celebrazione è significativo, perché all’Aerodromo di Maquehue durante il regime di Augusto Pinochet sono avvenute «gravi violazioni dei diritti umani», ha ricordato il Papa (qui venivano detenuti e torturati gli indios). Il saluto del pontefice non va solo ai Mapuche, ma anche ai popoli che vivono in altre zone, come Rapanui (l’isola di Pasqua), Aymara, Quechua e Atacama, e altri.

«Offriamo questa celebrazione per tutti coloro che hanno sofferto e sono morti e per quelli che, ogni giorno, portano sulle spalle il peso di tante ingiustizie. Il sacrificio di Gesù sulla croce è carico di tutto il peccato e il dolore dei nostri popoli, un dolore da riscattare».

Il richiamo e la preghiera per l’unità è stato il centro dell’omelia, davanti a circa 150.000 persone che hanno accolto il Papa con calore. «Questa unità, implorata da Gesù», ha detto, «è un dono che va chiesto con insistenza per il bene della nostra terra e dei suoi figli». Poi ha messo in guardia contro le insidie che possono stravolgere il senso di questa unità da costruire e da cercare.

Non si può confondere «unità con uniformità», dice Francesco. Perché «l’unità non nasce né nascerà dal neutralizzare o mettere a tacere le differenze». L’unità allora «è una diversità riconciliata perché non tollera che in suo nome si legittimino le ingiustizie personali o comunitarie. Abbiamo bisogno della ricchezza che ogni popolo può offrire, e dobbiamo lasciare da parte la logica di credere che ci siano culture superiori o inferiori». Per raggiungere questa unità occorre evitare di fare solo dei discorsi, magari “belli”, che però «non giungono mai a concretizzarsi», d’altro canto però richiama a non cercare di farsi giustizia con la violenza.

«Non si può chiedere il riconoscimento annientando l’altro, perché questo produce solo maggiore violenza e divisione. La violenza chiama violenza, la distruzione aumenta la frattura e la separazione. La violenza finisce per rendere falsa la causa più giusta». Il richiamo a certe forme di radicalizzazione violenta che hanno origine in ambienti del popolo Mapuche è stato chiaro. Il Papa ha parlato di riconciliazione, di accordi giusti e concreti da raggiungere, ma ha deplorato qualsiasi uso della violenza. Dopo la messa ha pranzato con 11 abitanti della regione dell’Auracania.

LA CONNESSIONE CON CRISTO

Rientrato a Santiago il Papa ha incontrato i giovani nel Santuario di Maipú a Santiago, a Roma erano le 21.30. «La fede provoca nei giovani sentimenti di avventura, che invita a viaggiare attraverso paesaggi incredibili, per niente facili, per niente tranquilli... ma a voi piacciono le avventure e le sfide. Anzi, vi annoiate quando non avete delle sfide che vi stimolano». Perciò, ha detto il Papa il problema semmai sono gli adulti, che a volte dicono «con la faccia di sapientoni (…): “Pensa così perché è giovane, presto maturerà”. Sembrerebbe che maturare sia accettare l’ingiustizia, credere che non possiamo fare nulla, che tutto è sempre stato così».

Quindi, dopo aver ricordato che questo 2018 per la Chiesa è caratterizzato proprio dal sinodo dei giovani, Francesco ha raccontato un aneddoto. «Parlando un giorno con un giovane gli ho chiesto che cosa potesse metterlo di cattivo umore. Mi ha detto: Quando al cellulare si scarica la batteria o quando perdo il segnale internet”. Gli ho chiesto: “Perché?”. Mi ha risposto: “Padre, è semplice, mi perdo tutto quello che succede, resto fuori dal mondo, come appeso. In quei momenti, vado di corsa a cercare un caricabatterie o una rete wi-fi e la password per riconnettermi”. Questo mi ha fatto pensare che può succederci la stessa cosa con la fede. Dopo un primo tempo di cammino e di slancio iniziale, ci sono dei momenti in cui, senza accorgerci, comincia a calare la nostra “larghezza di banda” e iniziamo a restare senza connessione, senza batteria, e allora ci prende il cattivo umore, diventiamo sfiduciati, tristi, senza forza, e incominciamo a vedere tutto negativo. Quando rimaniamo senza questa “connessione” che dà vita ai nostri sogni, il cuore inizia a perdere forza, a restare anch’esso senza carica e, come dice quella canzone, «il rumore intorno e la solitudine della città ci isolano da tutto. Il mondo che si capovolge cerca di immergermi in esso annegando le mie idee».

La «connessione» con Gesù è il punto fondamentale per una vita vera. Per accedere il Papa indica la «password di Hurtado», sant’Alberto Hutado: «Cosa farebbe Cristo al mio posto?». Lì dove sei, con chiunque ti trovi e a qualsiasi ora: “Cosa farebbe Gesù al mio posto?”. «L’unico modo per non dimenticare una password è usarla. Tutti i giorni. Verrà il momento in cui la saprete a memoria; e verrà il giorno in cui, senza che ve ne rendiate conto, il vostro cuore batterà come quello di Gesù».

NON PRIVARE LA CONOSCENZA DEL MISTERO

L’ultimo appuntamento è stato alla Pontificia Università Cattolica del Cile a Santiago. Anche in questa occasione il Papa ha parlato della necessità di integrazione e unità, un obiettivo che origina da una educazione integrale che sappia armonizzare «l’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’azione (le mani)». Perché «il “divorzio” dei saperi e dei linguaggi, l’analfabetismo su come integrare le diverse dimensioni della vita, non produce altro che frammentazione e rottura sociale».

«È necessario che l’acquisizione della conoscenza sia in grado di generare un’interazione tra l’aula e la sapienza dei popoli che costituiscono questa terra benedetta». Bisogna fuggire «la tentazione latente in ogni ambito accademico, quella di ridurre la Creazione ad alcuni schemi interpretativi, privandola del Mistero che le è proprio e che ha spinto generazioni intere a cercare ciò che è giusto, buono, bello e vero». E così, ha concluso Francesco, «siete chiamati a generare processi che illuminino la cultura attuale proponendo un umanesimo rinnovato che eviti di cadere in ogni tipo di riduzionismo. E questa profezia che ci viene chiesta ci spinge a cercare spazi sempre nuovi di dialogo più che di scontro».