Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Agnese da Montepulciano a cura di Ermes Dovico
1930-2017

Helmut Kohl, il cattolico che riunificò la Germania

Helmut Kohl viene pianto in Europa con le bandiere a mezz’asta nelle istituzioni dell’Ue. E’ morto ieri, a 87 anni. Il grande cancelliere, cattolico e alla testa dei cristiano democratici, sarà ricordato dalla storia come il riunificatore della Germania e probabilmente anche come l’ultimo dei grandi padri fondatori dell’Europa unita.

Esteri 17_06_2017
Helmut Kohl

Helmut Kohl viene pianto in Europa con le bandiere a mezz’asta nelle istituzioni dell’Ue. E’ morto ieri, a 87 anni. Sarà ricordato dalla storia come il riunificatore della Germania e probabilmente anche come l’ultimo dei grandi padri fondatori dell’Europa unita.

Gli incontri di Kohl con Papa Giovanni Paolo II, durante le visite del Papa in Germania nel 1987 e poi nel 1996, furono momenti fondamentali del percorso politico del cancelliere cattolico. Nel secondo incontro, quando assieme al pontefice attraversò la porta di Brandeburgo, un luogo proibito fino alla caduta del muro di Berlino, Kohl pronunciò un discorso che riassumeva la sua visione cristiana dell’Europa. “Libertà significa sempre anche responsabilità, altrimenti si trasforma in nuove forme di dipendenza. La responsabilità vissuta ha bisogno di coerenza con la propria coscienza, davanti al prossimo e soprattutto a Dio. Proprio in questo senso la voce delle Chiese cristiane è indispensabile anche in una società sempre più secolarizzata. La Buona Novella di Cristo è una sorgente di forza; dà orientamento e sostegno alle persone. Mi auguro che da questa visita del Papa in Germania si accenda un segnale, un segnale di incoraggiamento per i cristiani ad assumersi responsabilità nella politica, nell’economia e nella società. Il dovere cristiano e il dovere civile sono inseparabili! Questo vale soprattutto per la costruzione di un’Europa unita”.

Sui principi non negoziabili, il cattolico Kohl, uno dei tre cancellieri cattolici della storia del dopoguerra tedesco (gli altri sono Adenauer e Kiesinger), fu molto più tiepido. Un cattolico adulto, si direbbe in Italia. Tanto che viene citato dai cattolici più progressisti per il “coraggio della laicità” nelle scelte del partito Cristiano Democratico sotto la sua guida. Si spese personalmente, ad esempio, per la comunione ai divorziati risposati, scrivendo una missiva personale a Giovanni Paolo II. Dopo la sua morte, il cardinale Reinhard Marx, più che per il suo impegno sui principi, lo ricorda maggiormente per il suo ruolo sociale e politico: “La Chiesa in Germania è grata per la testimonianza cristiana di Helmut Kohl. Ovunque nel mondo fossero calpestati i valori di una società libera, lui si impegnava perché questi valori fossero rispettati. Voleva e sapeva manifestare in Europa le sue convinzioni cristiane”. Mons. Marx sottolinea anche l’impegno del cancelliere a “lavorare per una economia sociale di mercato fondata sulla dottrina sociale della Chiesa”.

Passerà alla storia per il suo capolavoro: essere stato, dopo Otto von Bismarck, il cancelliere che unificò la Germania per la seconda volta in un secolo. Fra l’altro, politicamente parlando, fu, dopo Bismarck, il secondo cancelliere più duraturo della storia tedesca: ben 16 anni (contro i 19 di Bismarck) dal 1982 al 1998, prima alla guida della Repubblica Federale Tedesca (la “Germania Ovest” della guerra fredda) e poi della Germania unita. Politico di provincia, nato nel 1930 a Ludwigshaven, un paese della Renania-Palatinato, lo stesso in cui si è spento ieri, Kohl è uscito senza macchia dall’esperienza nazista e della Seconda Guerra Mondiale. Subì i bombardamenti e il reclutamento in giovanissima età, ma non prese parte al conflitto. La sua fu un’ascesa tranquilla fino ai vertici della Cdu-Csu, il partito cristiano democratico tedesco di Adenauer. E nel 1982, battuto il socialdemocratico Helmut Schmidt, formò il suo primo governo con i Liberaldemocratici della Fdp, passati dalla coalizione con la sinistra a quella con la destra in brevissimo tempo. I tempi erano durissimi. Già a un anno dalla sua vittoria elettorale, dovette affrontare l’ultima grave crisi della guerra fredda, quella degli euromissili nel 1983. Con il consenso tedesco, gli Stati Uniti installarono in Germania occidentale le basi dei nuovi missili Pershing II, in grado di colpire il territorio sovietico fino a Mosca. Si trattava della risposta militare allo schieramento nell’Urss (avvenuta cinque anni prima) dei missili SS-20, in grado di colpire tutto il territorio europeo. Per ospitare i Pershing II, allora, ci voleva un grande sangue freddo. Prima di tutto politico: le marce in Germania contro Kohl e la Nato, furono le più grandi manifestazioni pacifiste della storia recente europea. Il cancelliere venne accusato di essere un irresponsabile e un guerrafondaio da tutta la sinistra interna e internazionale. Secondo: ebbe un forte coraggio militare, ai limiti dell’azzardo, perché non era affatto escluso che i sovietici, all’installazione dei Pershing II potessero rispondere con un attacco preventivo. Le testimonianze d’oltre cortina, emerse negli anni successivi, dimostrarono quanto ci si arrivò vicini.

Vinta questa sua prima scommessa, Kohl contribuì, non alla guerra, bensì alla pace in Germania. Seppe cogliere da subito il frutto della caduta del muro di Berlino, avvenuto per il collasso interno del sistema comunista della DDR. Il cancelliere, a nome della stessa costituzione della Germania Federale, puntò sulla riunificazione immediata. Era l’unico in Europa a crederci. A Londra, Margaret Thatcher era contraria: avrebbe voluto un lungo processo di riforme nella Germania orientale prima di discutere della riunificazione (che comunque, da inglese, non vedeva di buon occhio). Era un progetto inviso anche a Mitterrand, il presidente francese che aveva accolto Kohl nelle prime celebrazioni congiunte in ricordo della Prima Guerra Mondiale (nel 1984), ma non voleva veder risorgere il gigante tedesco ai suoi confini. Nemmeno Giulio Andreotti era d’accordo, come è ben noto dalla sua battuta, sparata in tempi non sospetti: “Amo talmente tanto la Germania che ne preferisco due”. Unificare subito un paese povero, sottosviluppato, cresciuto con i piani quinquennali sin dai tempi di Stalin, i prezzi dettati dallo Stato e nessuna idea di proprietà privata era considerata un’impresa folle anche dagli stessi economisti tedeschi. Eppure Kohl seppe giocare bene le sue carte. Trattò direttamente con il presidente americano George H. W. Bush, favorevole alla riunificazione tedesca per porre fine alla guerra fredda. E con Michail Gorbachev che, paradossalmente, era sempre stato favorevole ad una Germania unita (purché neutrale) come architrave del suo disegno di lungo periodo: una “Casa Comune Europea”. Kohl azzeccò i tempi: nell’ottobre del 1990 riunificò la Germania. Un anno dopo finiva l’Urss e con essa anche il disegno (di fatto egemonico) di Gorbachev. Come per gli euromissili, Kohl fece una scommessa azzardata e la vinse. Anche economicamente: impostò il cambio 1 a 1 fra il marco occidentale e il marco orientale. Contrariamente alle previsioni, la Germania Est si riprese in meno di un decennio, adeguandosi agli standard europei occidentali.

Infine, Kohl contribuì a unificare l’Europa, più come conseguenza collaterale dell’unificazione tedesca che non come progetto deliberato. Fu, infatti, una concessione per rassicurare il presidente francese Mitterrand: Germania riunificata sì, ma nell’ambito di un’unità, anche politica, europea. Già nel 1992, con il trattato di Maastricht, nasceva l’attuale Unione Europea, con tutti i pregi e i difetti che conosciamo oggi. 

Sconfitto alle elezioni del 1998, denunciato da Angela Merkel (una cristiana democratica dell’Est, entrata al governo grazie a lui nel 1991, sua protetta fino a quel momento) nel 1999 per uno scandalo di tangenti, venne costretto a dimettersi anche dalla carica di presidente onorario della CDU nel 2000 e si ritirò a vita privata. Un anno dopo sua moglie si suicidò. Triste parabola di un uomo che ha fatto la storia e che viene ricordato, al momento della sua morte, come l’ultimo dei grandi leader europei.