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L'EDITORIALE DI OGGI

I cattolici dell'acqua

L'entusiastica adesione di alcuni vescovi e sigle cattoliche alla campagna referendaria mette in evidenza soprattutto ignoranza e malafede nel citare la Dottrina sociale.
- E ci provano anche con il Papa 

Editoriali 10_06_2011
acqua

Ci eravamo ripromessi, dopo l’editoriale di ieri, di non ritornare sulla questione referendum. Ma il fiume di interventi a favore dei quesiti sull’acqua da parte di vescovi, preti, associazioni cattoliche, giornali, per non parlare della carnevalata di padre Zanotelli e soci in piazza San Pietro, ci costringe a tornare sull’argomento. Non tanto per ribadire che consigliamo di non andare a votare, quanto per rilevare questa deriva di una parte considerevole del mondo cattolico, che nell’occasione ha messo in rilievo soprattutto due aspetti: l’evidente malafede nel citare la Dottrina sociale della Chiesa e l’ignoranza sull’oggetto dei referendum.

Tutti abbiamo sentito diversi vescovi, preti, la presidenza dell’Azione Cattolica, quella delle Acli, addirittura l’Unitalsi, la presidenza della Federazione Italiana Settimanali Cattolici (Fisc) che, per giustificare i sì ai due referendum, hanno citato la Bibbia e i discorsi dei Papi che mettono in evidenza come l’acqua sia un diritto inalienabile, un bene comune di cui a tutti deve essere garantito l’accesso, e così via. Il bello è che nessuno ha mai messo in dubbio questi princìpi, non c’è alcuna legge in Italia che consenta di “privatizzare” la proprietà di un bene comune come l’acqua. Si può benissimo essere legittimamente a favore dell’abrogazione dell’attuale legge in materia, ma si giustifichi questa posizione con delle motivazioni tecniche, amministrative, giuridiche. Cosa c’entra continuare a citare a sproposito perfino i testi sacri, arrivando fin quasi alla bestemmia (c’è anche chi ha tirato in ballo la sete di Gesù sulla Croce per dare più forza alla campagna dei “sì”)? Siamo certi che molti, in buona fede, non sappiano davvero cosa dice la legge e cosa intendano i referendum, ma non è una buona scusa per seguire l’onda dominante come utili idioti.

La cosa più preoccupante è però la malafede di tanti altri che vogliono far credere – mentendo sapendo di mentire – che “la destinazione universale dei beni” in cui rientra anche l’acqua, per il Magistero della Chiesa coincida con la gestione statale – e statalista – dei beni stessi. Non staremo qui a dilungarci sull’importanza e i limiti della proprietà privata o del principio della sussidiarietà, che la Dottrina sociale considera fondamentali nell’ottica della destinazione universale dei beni. Per venire al punto che ci interessa, prendiamo come esempio una lettera inviata nei giorni scorsi a tutti i sacerdoti della diocesi di Brescia dall’Ufficio della pastorale sociale della stessa diocesi, che porta le firme di don Raffaele Donneschi, don Mario Benedini, don Umberto Dell’Aversana e don Gabriele Scalmana, che è anche docente di Etica ambientale all’Università Cattolica di Brescia.

Il documento è interessante perché è un condensato di tutti gli slogan e i luoghi comuni sentiti in questi giorni sull’acqua e – invitando i sacerdoti a promuovere momenti di informazione e sensibilizzazione sul tema dell’acqua – presenta una piccola summa di frasi sull’argomento tratte dal Magistero. La nostra attenzione si è fermata sulla citazione del no. 485 del Compendio di Dottrina sociale della Chiesa, che viene presentato così: “L’acqua non può essere trattata come una merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l’acqua è sempre stata considerata un bene pubblico”. Cosa si capisce? Ovviamente che tutto ciò che riguarda l’acqua deve essere gestito in modo diretto dall’ente pubblico. E’ quello che hanno capito anche i vescovi del Molise, che infatti vengono citati subito dopo: “La gestione sia sempre ad impostazione pubblica, perché è un bene di tutti. E di tutti deve restare. Non ci sia una gestione privatistica, ma un affido ai comuni e agli enti locali, in modo diretto”.

Peccato che i vescovi del Molise, così come il docente di Etica ambientale dell’Università Cattolica abbiano troncato a metà la frase contenuta nel no. 485 del Compendio che in realtà dice così: “La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l'acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato”. Sbaglio o letta integralmente la frase del Compendio assume tutt’altro significato? Possiamo dire che è lo stesso Compendio di Dottrina Sociale a prevedere che la gestione della rete idrica possa essere affidata legittimamente a privati pur rimanendo l’acqua un bene pubblico? Certo che sì. Ed è esattamente ciò che prevede la legge che si vorrebbe abrogare. Ed è per questo che, in perfetta malafede, vengono censurati dei brani del Magistero della Chiesa. Che i vescovi del Molise farebbero invece bene a ripassare, così come i vescovi di Locri, di Sessa Aurunca e di Trani, tanto per citarne alcuni tra i più esagitati. E comunque chi si rende protagonista di operazioni truffaldine come questa tutto dovrebbe insegnare meno che Etica, pur se solo quella ambientale.