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RIFLESSIONI

I quattro castighi di Dio

È l'apostasia il vero grande peccato dell'Occidente che, come ai tempi del profeta Ezechiele, attira i tremendi castighi di Dio. Finora i popoli cristiani, nell’ora del pericolo, si sono sempre rivolti con digiuni, preghiere, rosari ed elemosine, alla misericordia divina e alla protezione della Vergine. Ma ora?

Esteri 18_11_2015
Isis

Isis

 

Sabato notte, in seminario dove stavo facendo un corso su Agostino, quasi fuori dal mondo perché senza radio e televisione, ho vissuto alcune ore di angoscia. Mi capita spesso di dormire poco e male ma in quel caso non si trattava di insonnia: si trattava di angoscia. Mi sono messa a pregare, ho fatto il mattutino, e ho letto la lettura prevista dal breviario per quella notte: il profeta Ezechiele, capitolo 14, versetti 12-23.

In quel passo, attraverso il suo profeta, Dio manda a dire al popolo di Israele: “Figlio dell’uomo, se una terra pecca contro di me e si rende infedele, io stendo la mano sopra di essa, le tolgo la riserva del pane, le mando contro la fame e stermino uomini e bestie”; “Quando manderò contro Gerusalemme i miei quattro tremendi castighi: la spada, la fame, le bestie feroci e la peste, per estirpare da essa uomini e bestie, ecco, vi sarà un resto che si metterà in salvo con i figli e le figlie”. La mattina ho saputo cosa era successo a Parigi durante la notte e ho capito il perché mi era capitato di vegliare. 

Le profezie di Ezechiele contro il popolo infedele e contro i falsi profeti che predicono la pace in nome di Dio, senza che questi li abbia inviati, sono agghiaccianti. E si sono avverate. Basta pensare a come è stata ridotta Gerusalemme dai romani. 

Da quando esiste, l’islam punta alla conquista di Roma. Perché Roma significa il mondo e loro il mondo lo vogliono conquistato al vero Dio. Finora non sono stati capaci di trasformare San Pietro in una stalla, come era quasi riuscito a fare Maometto IV inviando contro l’Occidente un esercito poderoso al comando di Kara Mustafà. All’ultimo momento, alla vigilia della resa, l’11 settembre 1683, Vienna, ultimo baluardo sulla strada di Roma, non era caduta grazie all’intercessione di Maria impetrata dal santo cappuccino Marco D’Aviano e dalla preghiera di tanti uomini e donne terrorizzati. Finora i popoli cristiani, nell’ora del pericolo, si sono sempre rivolti con digiuni, preghiere, rosari ed elemosine, alla misericordia divina e alla protezione della Vergine.

Oggi cosa facciamo? Ce lo hanno detto in tutte le salse che a Roma stanno arrivando. Come ci prepariamo? I nostri profeti, come ai tempi di Ezechiele, hanno profetizzato e profetizzano pace. Ci vergogniamo della croce e proibiamo ai nostri figli di vedere quadri che la raffigurino, portando la nostra apostasia al limite della follia. Eppure se ci sono una città e una nazione che hanno ricevuto un’infinità di grazie da Dio, per la presenza a Roma del suo vicario, questi siamo noi. 

Oggi di profeti Giona non se ne vede traccia. Chi chiama a conversione? Chi si pente della schifosa apostasia in cui siamo immersi? Chi invita a prendere le armi della fede – le uniche che contino - scongiurando Dio di avere misericordia di noi, dei nostri figli, della nostra storia, della nostra civiltà che è stata bellissima?