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USA

I repubblicani americani attendono il nuovo Reagan

Chi sfiderà i democratici per la conquista della Casa Bianca nel 2016? Dopo la vittoria alle elezioni Mid Term, il Partito Repubblicano inizia la corsa e deve selezionare il suo candidato presidenziale. Non è un compito facile. I leader sono tanti, ma soprattutto la base repubblicana è divisa.

Esteri 09_11_2014
Il luogo natale del Partito Repubblicano

I due anni di vita politica che porteranno gli Stati Uniti a eleggere il 45° presidente federale, l’8 novembre 2016, non saranno semplici. Anche per i Repubblicani oggi vincitori, per i quali, stante che governare (e governare bene) dovranno, tutto dipenderà da come governeranno bene.

La traduzione “nazionalpopolare” di questo assunto è: “chi sarà il candidato del GOP alla Casa Bianca nel 2016?”. Macroscopicamente, centra l’obiettivo. Per quanto disarmante, la risposta altrettanto “nazionalpopolare” è però che quel candidato (ancora) non c’è. Ci sono da tempo degli aspiranti: il governatore del Wisconsin Scott Walker, il senatore del Kentucky Rand Paul, il governatore del New Jersey, Chris Christie, il senatore della Florida Marco Rubio e il governatore del Texas Rick Perry. E altri più recenti: l’ex ambasciatore all’Onu John R. Bolton, l’ex governatore della Florida Jeb Bush (fratello del presidente George W. Bush), il senatore del Texas Ted Cruz, il governatore della Louisiana Bobby Jindal, l’ex governatore dell’Indiana Mike Pence, il deputato del Wisconsin Payul Ryan (già running-mate di Mitt Romney nel 2012) e l’ex senatore della Pennyslvania Rick Santorum e il deputato della Florida Allen West. Certo, è praticamente solo l’elenco del gotha Repubblicano, ma proprio questo è il nodo che il Gop (Grand Old Party, come vengono chiamati i repubblicani) dovrà scogliere.

Gli ultimi mesi del 2014 prepareranno la transizione. Nel 2015 il Gop dovrà dimostrare agli americani di saperci fare meglio di Obama. E il 2016 sarà l’anno in cui il Gop dovrà selezionare il front-man più sagace, salace e capace anzitutto di unirne le correnti. L’elettorato Repubblicano (e con esso ampia parte del mondo conservatore, le due cose restando sempre distinte) attende da decenni il “nuovo Reagan”. È un’altra traduzione “nazionalpopolare”, e ancora coglie nel segno. Vuol dire che da decenni il mondo che vota Gop, o che ruota attorno a esso, attende un leader in grado di trasformare le differenze in forza. George W. Bush non lo è stato, e il “nuovo” Bush 2, migliore, quello delle elezioni 2004, non lo è stato a sufficienza. Romney, in corsa per la Casa Bianca due anni fa, non lo è stato affatto: la colpa fu meno sua quanto più del fatto che nessuno degli altri Repubblicani disponibili vantava sia quel suo physique du rôle adatto a farsi “digerire” dal “mondo” sia il carisma necessario a unificare il variegato mondo del Gop e la frastagliata galassia conservatrice.

Le elezioni nel 2012 una cosa fondamentale l’hanno però documentata: con chiarezza per tutti, con clamore dei mass-media e con scandalo dell’ala liberal interna al Gop ridotta al lumicino (e talora costretta al trasloco nel Partito Democratico). Il Partito Repubblicano non era di destra, ma lo è diventato; resta diverso dalle “tavole della legge” del conservatorismo, ma il mutamento è stato enorme. Il Gop è di destra in materia economia e politica fiscale, difesa e sicurezza, valori e “princìpi non negoziabili”; lo è mediamente (come tutti i partiti), ma la sua media sta ben oltre la mediocrità. Certamente ci perse le elezioni presidenziali, ma furono i “disturbi della crescita” innescati dalla grande vittoria riportata alla Camera dei deputati nel 2010, l’anno che passerà alla storia come l’inizio del consolidamento di un Gop rinato più conservatore e la fine della gestazione di quel nuovo soggetto concepito mezzo secolo fa esatto da Barry Goldwater (1909-1998) e nutrito per strada da Ronald Reagan (1911-2004).

I problemi fisiologici tipici del trapasso dall’infanzia all’adolescenza non scompariranno dal Gop per magia e nei soli due anni venturi; ma nei prossimi due anni il Gop avrà l’occasione storica per indirizzare la fase più critica della crescita. I banchi di prova saranno diversi: qualche valico agevole e parecchie forche caudine, tra cui certamente la politica estera (dove il rischio se non già l’escalation militare preme, quando addirittura non attira) e la questione dell’immigrazione. Negli Usa ce n’è infatti tanta, molta clandestina. Pone un problema di sicurezza, di costi, di welfare e quindi di tasse; ma pone anche un problema elettorale.

Nel 2012 gli elettori bianchi erano il 72%, nel 2016 saranno il 67%. Nel 2008 Obama puntò tutto sui neri, era l’unico (anche tra i Democratici in lizza) a poterselo poteva permettere e vinse trasformando sacche enormi di non-voto in una valanga di consensi. Quattro anni dopo Obama (che per molte ragioni aveva perso quasi tutto il nuovo voto nero sia moderato sia radicale) puntò sugl’ispanici: vinse ancora, seppur di più stretta misura. Ma nel 2014 pure gl’ispanici gli si sono negati, gonfiando l’astensionismo. È lì che il Gop deve snidarli.

Ora, per mezzo secolo la gestazione del nuovo Gop ha evidenziato due direttive principali, parallele alle grandi “scuole” del conservatorismo americano: l’anima libertarian (da non confondere con il “libero pensiero”) e l’anima social conservative. La prima è la destra della protesta fiscale e del governo minimo; la seconda è la destra dei princìpi inderogabili e dei valori morali. Nei momenti più idilliaci hanno trovato l’accordo, in quelli peggiori si sono scontrate. Oggi il Gop è un partito diviso, ma tra due destre: quella barricadera emblematizzata dai “Tea Party”, e quella in giacca e cravatta dei vertici istituzionali del partito. Entrambe sono venate sia dalla tendenza libertarian sia da quella social conservative. Si tratta cioè di un partito diviso in due metà di destra, ognuna delle quali è ulteriormente divisa al proprio interno. Sulla politica estera e sull’immigrazione, tutte le anime e tutte le correnti sono antistaliste e isolazioniste, ma lo sono in maniere diverse, anche profondamente. Non sono questioni di lana caprina; per vincere nel 2016 il Gop non avrà bisogno di un candidato presidenziale spendibile: avrà bisogno di un condottiero carismatico. Anzi, di un grande padre capace di coniugare prudenza e impulsività onde far diventare maturi i bravi ragazzi del Gop evitando che diventino adulti come certi cattolici italiani. Ha due anni per trovarlo.