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JANE MORRIS

Il centenario della donna più bella del mondo

Jane Morris, modella preferita dai pittori preraffaelliti del XIX Secolo, cambiò il paradigma della bellezza femminile. I gusti variano, ma i parametri oggettivi restano. Il relativismo estetico, invece, nega la bellezza.

Cultura 03_02_2014
Jane Morris

I lettori sono a volte imprevedibili. Ho ricevuto a suo tempo molta posta su un articolo apparentemente secondario, pubblicato su La Nuova Bussola quotidiana a proposito di una lezione dello scrittore Alessandro Baricco su come la modella Kate Moss aveva cambiato il paradigma della bellezza femminile. Diverse lettere erano critiche: ammiratori di Kate Moss contestavano la tesi - per la verità, più che mia, di Baricco - secondo cui con la modella inglese si era imposto un ideale sessantottino della bellezza femminile, quello della «cattiva ragazza» imbottita di droga. In effetti la Kate Moss del 2014 - meglio per lei - non è quella delle origini, e credo che sia io sia Baricco avessimo davanti agli occhi soprattutto una famosa opera d'arte moderna ispirata alla discussa modella, il ritratto che ne fece nel 2002 Lucian Freud (1922-2011), il pittore nipote di Sigmund Freud (1856-1939): un nudo inquietante, trionfo della «bellezza» malata e drogata.

In quell'articolo discutevo come l'ideale della bellezza femminile cambia nel tempo, e come l'arte c'entri molto con questi cambiamenti. Peter Paul Rubens (1577-1640), per esempio, ebbe un ruolo decisivo nella promozione di una bellezza ideale formosa e decisamente sovrappeso. La sua modella Hélène Fourment (1614-1673), che divenne anche la sua seconda moglie, fu considerata la più bella donna della sua epoca. Oggi sarebbe mandata d'urgenza dal dietologo. Non è peraltro privo d'interesse il fatto che Rubens abbia messo esplicitamente in relazione la scoperta della buona tavola e delle donne formose come ideali di vita gradevole e di bellezza serena e gioiosa con la sua conversione dal calvinismo al cattolicesimo.

Una delle grandi rivoluzioni nella concezione della bellezza femminile risale agli artisti inglesi del XIX secolo noti come Preraffaelliti, nel senso che intendevano tornare al modello della pittura italiana precedente al Rinascimento e a Raffaello (1483-1520). Nella loro ricerca spasmodica della bellezza perfetta inventarono anche la categoria moderna della top model, tanto che le loro modelle - a partire da Lizzie Siddall (1829-1862), moglie del leader dei Preraffaelliti, Dante Gabriel Rossetti (1829-1882), e immagine di Ofelia nell'omonimo quadro di John Everett Millais (1829-1896), forse il più famoso di questa scuola - divennero più famose degli stessi pittori.

L'ideale della bellezza preraffaellita è però rappresentato soprattutto da una singola donna, Jane Morris (1839-1914). Nel centenario della morte la National Portrait Gallery di Londra le dedica una mostra, con fotografie inedite dei suoi ultimi anni. Sempre a Londra, la William Morris Gallery, il museo dedicato a suo marito William Morris (1834-1896), espone per il centenario gli autoritratti della fotografa olandese Margje Bijl, che da anni ritrae se stessa nei panni di Jane Morris. E in Olanda esce anche un fumetto di qualità di Ulrik Nilsson, dove Jane Morris diventa una super-eroina che combatte perfino gli extraterrestri: il che sembra veramente troppo, ma dimostra la persistente fama del personaggio.

Paradossalmente, per gli standard dell'epoca, da ragazza Jane Burden, come si chiamava prima del matrimonio - alta, magra e con un'aria misteriosa e sognante - non era considerata bella. Figlia di una stalliere e di una domestica di Oxford, la storia l'avrebbe ignorata se non avesse preso la saggia decisione d'investire i suoi pochi risparmi per farsi una cultura e andare a teatro. Proprio in un teatro di Oxford, quando aveva diciotto anni, la notarono Rossetti e un altro pittore preraffaellita, Edward Burne-Jones (1833-1898). La dichiararono sul campo la bellezza perfetta e la convinsero a diventare la loro modella. Di lì inizia una carriera di modella durata trent´anni, nel corso dei quali è stata immortalata in un centinaio di quadri, alcuni famosissimi, da Rossetti e da diversi altri artisti. Sempre innamorata di Rossetti, sposò l'industriale, artista e attivista socialista William Morris, da cui ebbe due figlie. Collaborò con il marito nel creare una florida azienda che porto lo stile preraffaellita in molte case con mobili, carte da parati e oggetti di arredamento di una qualità squisita, alcuni disegnati dalla stessa Jane. Ma non smise mai di frequentare Rossetti, anche se i biografi oggi si chiedono se il loro rapporto sia mai andato oltre dichiarazioni d'amore appassionate ma platoniche. Ebbe una lunga vita, e il suo epistolario recentemente pubblicato mostra come la figlia dello stalliere si era fatta una notevole cultura.

Jane Morris ebbe sempre problemi di salute e guai con le figlie - una era epilettica, l'altra lesbica, il che all'epoca non era considerata una distinzione di cui vantarsi -, per tacere dei problemi di cuore nel triangolo fra il marito e Rossetti. Ma il velo di tristezza con cui appare nei dipinti e nelle fotografie divenne parte integrante della sua bellezza. Lo scrittore americano Henry James (1843-1916), che la conobbe a Londra, lasciò scritto che in tutta Europa non aveva visto un'opera d'arte più bella. Scrisse anche che si trattava proprio di un'«opera» d'arte, sapientemente costruita, e che per Jane Morris essere Jane Morris era un lavoro a tempo pieno.

L'aspetto più interessante della mostra di Londra è che documenta il processo - in cui entrano gli artisti, i giornali, la stessa modella - attraverso il quale con Jane Morris cambia il paradigma della bellezza: da solare e formosa a esile, misteriosa, velata di tristezza. Cambia, tuttavia, all'interno di parametri che rimangono ancora oggettivi, e qui sta la differenza con rivoluzioni del XX secolo che cercano di proporre il brutto come bello.

Se è lecito applicare categorie pensate per le arti maggiori a un tema solo apparentemente frivolo come quello della bellezza femminile, la tesi secondo cui non è bello quello che è bello ma è bello quello che piace - a Napoli si dice che «ogni scarrafone è bello a mamma sua» - è vera solo a metà. Certamente il gusto tollera molte varianti, ma esistono anche parametri del bello che sono oggettivi. Diversamente si cade in quello che Papa Francesco - riassumendo nella «Evangelii gaudium» anni di Magistero di Benedetto XVI sul tema della bellezza e dell'arte, sulla cui importanza attira giustamente l'attenzione - denuncia come «relativismo estetico», separazione della bellezza dalla verità e anticamera di tutti gli altri relativismi.