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LAVORO

Il Decreto dignità sta già impoverendo il mercato

L'allarme di Federmeccanica conferma i timori di quest'estate: il 30% delle imprese non rinnoverà, alla data di scadenza, i contratti a tempo determinato in essere. Un lavoratore su tre rischia di rimanere a casa. Invece sarebbe opportuna una netta sterzata, per rilanciare il mercato del lavoro occorrerebbe aiutare le aziende ad accrescere i livelli produttivi e considerare come necessario l’assorbimento di nuove maestranze, a tempo determinato o indeterminato. 

Economia 07_12_2018

Il ministro agli affari europei Paolo Savona aveva già lanciato l’allarme due giorni fa: "L’Italia non può attendere la lenta transizione che nel 2019 porterà a un nuovo Parlamento europeo, a una nuova Commissione e a un nuovo vertici della Bce, perché deve fronteggiare i rischi di una recessione produttiva e quindi il nostro dovere è agire".

Evidentemente non si trattava di un allarme esagerato. Federmeccanica, nella sua indagine congiunturale sull’industria, ha confermato quanto si teme dall’estate in poi, cioè da quando è stato approvato il decreto dignità, varato dall’attuale governo con l’intento di stabilizzare i precari e di aumentare i posti di lavoro a tempo indeterminato.

Ma la scommessa gialloverde non poteva essere vinta, stante la situazione di incertezza finanziaria, che spinge le imprese sulla difensiva e le dissuade da investimenti al buio e senza solide basi per il futuro. Senza dimenticare che la pesante burocrazia frena la competitività italiana sui mercati.

Stando alle valutazioni di Federmeccanica, il 30% delle imprese non rinnoverà, alla data di scadenza, i contratti a tempo determinato in essere. Un lavoratore su tre, in altre parole, rischia di rimanere a casa.

Numeri preoccupanti che si sommano a quelli diffusi da Assolavoro, secondo cui sono circa 53.000 le persone che  dal 1° gennaio 2019 non potranno essere riavviate al lavoro dalle Agenzie per il Lavoro perché raggiungeranno i 24 mesi di limite massimo per un impiego a tempo determinato.  Assolavoro parla di "stima prudenziale" e "approssimata per difetto", quindi il rischio è che siano molti di più di quella cifra. Si tratta - spiega l'associazione -degli effetti di "una circolare del ministero (n.17 del 31 ottobre 2018) che ha retrodatato a prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del cosiddetto 'decreto Dignità' il termine da considerare per questi lavoratori assunti dalle agenzie".

Risultati che potrebbero quindi rivelarsi diversi rispetto alle aspettative del governo, visto che il provvedimento è stato pensato, come detto, per ridurre i contratti precari, mentre le aziende sembrano orientarsi verso la sostituzione di contratti a tempo determinato con altri contratti analoghi. Il decreto dignità ha ridotto il numero di proroghe possibili per i contratti a termine da 5 a 4, e la durata totale da 36 a 12, con un possibile allungamento fino a 24 a patto di inserire una causale nel contratto.

In altre parole, le aziende, pianificando l’assorbimento di forza lavoro sulla base di commesse che spesso sono annuali, non fanno il passo più lungo della gamba e preferiscono rinunciare a professionalità già formate negli anni ma non stabilizzate per sostituirle con altre professionalità a termine. Dipendenti che si sono formati in azienda e che si vedono costretti a lasciare il posto del lavoro in quanto il loro contratto non può più essere rinnovato: sarà questo l’andazzo nel 2019, perché il decreto dignità produrrà solo tali effetti negativi, senza produrne alcuno positivo.

Le imprese che hanno fiducia nei loro dipendenti, dopo averli formati, li assumono a tempo indeterminato perché è nel loro interesse farlo, a prescindere dal fatto che qualcuno le obblighi. Magari sarebbe bastato introdurre degli incentivi per assunzioni a tempo indeterminato, ma senza impedire il rinnovo dei contratti a termine.

Due mesi fa Assolombarda aveva agitato lo spettro del blocco delle assunzioni, avvertendo che a Milano e provincia decine di migliaia di contratti a termine non erano stati rinnovati già in forza dell’annuncio del decreto dignità, prima ancora che entrasse in vigore.

Ora i timori si sono materializzati e sono diventati realtà. Peraltro il decreto dignità è sbagliato anche per altre ragioni. "Il ritorno delle causali, contenuto nel decreto dignità – lamentava Confindustria già a luglio - comporterà un aumento del contenzioso, che le riforme degli anni scorsi avevano contribuito ad abbattere, visto che le cause di lavoro sui contratti a termine sono passate da oltre 8.000 nel 2012 a 1.250 nel 2016. Il fatto che per contratti tra i 12 e i 24 mesi sia richiesto alle imprese di indicare le condizioni del prolungamento — spiegano gli industriali — esponendole all’imprevedibilità di un eventuale contenzioso, finisce nei fatti per limitare a 12 mesi la durata ordinaria del contratto a tempo determinato, generando potenziali effetti negativi sull’occupazione".

In questo modo diventa anche difficile valorizzare i percorsi formativi, considerato che molti lavoratori a termine non potranno essere trattenuti in servizio a causa del decreto dignità. Le aziende impiegano risorse per formarli, poi non possono correre il rischio di assumerli a tempo indeterminato e quindi sono costrette a mandarli via.

Dunque sarebbe opportuna una netta sterzata. Per rilanciare il mercato del lavoro occorrerebbe aiutare le aziende affinchè esse possano accrescere i livelli produttivi e considerare come necessario l’assorbimento di nuove maestranze, a tempo determinato o indeterminato. Va rovesciata la prospettiva: aiutare i datori di lavoro per aiutare i lavoratori. Elementare, ma evidentemente il governo la pensa diversamente.