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COREA DEL NORD

Il grande bluff dell'Invincibile Armada di Trump

Trump dichiara che la portaerei Cal Vinson è pronta a intervenire contro la Corea del Nord. Poi si scopre che non è vero: la portaerei era a 5mila chilometri più a Sud, con grande imbarazzo per la Casa Bianca. Il bluff dell'amministrazione Trump mina la credibilità di deterrenza degli Usa, che invece è fondamentale.

Esteri 21_04_2017
La USS Vinson e la sua scorta

I fans di Donald Trump (per lo più coloro che insultavano fino a due settimane or sono) la interpreteranno come un’abile operazione di inganno del nemico, i suoi detrattori (per lo più suoi fans fino a dieci giorni or sono) la considereranno invece la conferma che il presidente statunitense è un “peracottaro”.

Certo è che il bluff sulla “invincibile armada” mobilitata contro la Corea del Nord e incentrata sulla portaerei Carl Vinson e il suo gruppo navale è quanto meno imbarazzante. Lo “strike Group” che la Casa Bianca aveva da giorni annunciato come pronto a colpire Pyongyang se il regime comunista avesse continuato nelle provocazioni con test atomici o missilistici si trova invece nelle acque indonesiane, oltre 5 mila chilometri più a sud, per partecipare a una esercitazione congiunta con la Marina australiana. Lo ha confermato anche il segretario alla Difesa, il generale (a riposo) Jim Mattis ma solo dopo che a rendere evidente quanto clamoroso il bluff aveva provveduto un fotografo della Marina che ha immortalato e postato sul sito internet della Us Navy la Vinson nel week end di Pasqua nello stretto della Sonda, tra le isole indonesiane di Giava e Sumatra.

Un funzionario dietro garanzia di anonimato ha assicurato mercoledì che "entro le prossime 24 ore" la portaerei comincerà la sua navigazione verso il Mar del Giappone dove dovrebbe arrivare tra il 25 e il 28 aprile. La conferma che il gruppo navale americano ha fatto rotta verso la Penisola Coreana l’ha fornita l'agenzia sudcoreana Yonhap citando fonti militari di Seul. La Casa Bianca, in evidente imbarazzo, non ha voluto commentare rinviando ogni domanda al Pentagono, forse perché qualcuno ha spiegato al presidente che la questione è ben più seria di una semplice bugia o dell’ennesima “sparata”.

L’aver dichiarato, mentendo, che la “invincibile armada” era pronta a difendere la Corea del Sud e gli altri alleati così come l’aver fatto trapelare l’indiscrezione che il fallito lancio missilistico nordcoreano poteva essere relativo a un vettore diretto contro la portaerei Vinson, non sono solo bugie ma azioni che inficiano il peso e la credibilità della deterrenza americana. Un elemento decisivo, la deterrenza, specie in un confronto con una potenza nucleare. Occorre chiedersi cosa sarebbe accaduto se i nordcoreani avessero attaccato per primi i “cugini” del Sud senza che Washington disponesse reamente delle forze tanto sbandierate in modo minaccioso a Pyongyang?

L’impressione che Trump “bluffi” sulla difesa degli alleati e sulle minacce alla Corea del Nord non aiuterà a disarmare le atomiche del regime, né favorirà le pressioni cinesi per indurre il regime di Kim Jong-un a negoziare. Negoziato che Washington non sembra neppure volere. Il vicepresidente Mike Pence ha infatti escluso ieri trattative dirette, almeno per ora come via di uscita alla crescente tensione tra i due Paesi, "L'unica cosa che vogliamo sentir dire dalla Corea del Nord è che mettano fine e finalmente smantellino il loro programma di armi nucleari e missili balistici", ha detto Pence in un'intervista alla Cnn, sulla portaerei Ronald Reagan nella base navale di Yokosuka, in Giappone.

Come l’Iran, anche la Corea del Nord potrebbe forse negoziare sul nucleare ma non sui missili balistici che consentono peraltro un'importante entrata finanziaria grazie all’export di armi e tecnologie. In ogni caso esprimere pretese senza aprire trattative non indurrà i nordcoreani a credere che gli americani facciano sul serio.

Inoltre la rinuncia a negoziati diretti con Pyongyang può essere interpretata solo con l’impressione che Washington intenda lasciare campo libero ai cinesi oppure che Trump non abbia intenzione di trattare seriamente con un nemico la cui esistenza giustifica almeno in parte il consistente aumento del bilancio del Pentagono (almeno 54 miliardi in più quest’anno su un bilancio già superiore ai 600 miliardi, cioè il 40% della spesa militare mondiale) voluto proprio dal presidente.

Anche la notizia che le forze americane nel Pacifico testeranno la loro capacità di abbattere i missili nordcoreani con i sistemi antimissile Patriot e Aegis (e presto con i Thaad) schierati in Corea, Giappone e sulle navi non aggiunge nulla di nuovo allo scenario di crisi, contribuisce a incrementare la tensione ma non offre alcuna via d’uscita dall’escalation della tensione.