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IL PAPA

«Il lavoro ci riempe di dignità»

Il Papa raccomanda a San Giuseppe lavoratore chi ha perso il lavoro, e invita a non perdere la speranza né tempo dietro inutili lamenti, ma ad impegnarsi a compiere il proprio dovere perché «il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita».

Ecclesia 02_05_2013
Gesu Bambino nella bottega di San Giuseppe

Interrompendo il ciclo di catechesi sul Credo e l’Anno della fede, Papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’udienza generale del Primo Maggio alla festa liturgica di san Giuseppe lavoratore e all’inizio del mese mariano.

La prima meditazione è stata dunque dedicata al lavoro. Quando Gesù è ormai noto per la sua predicazione e torna a Nazaret, i suoi compaesani si pongono con stupore la domanda: «Non è costui il figlio del falegname?» (13,55). Questa domanda, osserva il Papa, sottolinea fortemente il carattere storico, concreto della vita di Gesù. «Gesù entra nella nostra storia, viene in mezzo a noi, nascendo da Maria per opera di Dio, ma con la presenza di san Giuseppe, il padre legale che lo custodisce e gli insegna anche il suo lavoro. Gesù nasce e vive in una famiglia, nella santa Famiglia, imparando da san Giuseppe il mestiere del falegname, nella bottega di Nazaret, condividendo con lui l’impegno, la fatica, la soddisfazione e anche le difficoltà di ogni giorno». Ogni tanto, ha suggerito il Pontefice, tendiamo a dimenticarci di questo particolare.

Viene in mente – non lo ha citato Papa Francesco, ma l’episodio mi sembra pertinente – lo scandalo di uno scrittore come Charles Dickens (1812-1870) quando fu esposto a Londra nel 1850 il quadro «Gesù nella casa dei suoi genitori» di John Everett Millais (1829-1896), la prima significativa manifestazione pubblica della corrente artistica dei Pre-Raffaelliti. Per il borghese Dickens, abituato a raffigurazioni oleografiche del ragazzo Gesù, era scandaloso che Millais lo mostrasse sudato e sporco di segatura mentre Giuseppe si affaticava nel lavoro. Oggi «Gesù nella casa dei genitori» è considerato un capolavoro profondamente religioso. Dickens aveva torto: il Papa ci ricorda che il lavoro di Gesù nel laboratorio di Giuseppe non era simbolico, ma vero, faticoso, difficile.

Il richiamo del Pontefice, più in generale è «alla dignità e all’importanza del lavoro» che per il cristiano ha una dimensione teologica. «Il libro della Genesi narra che Dio creò l’uomo e la donna affidando loro il compito di riempire la terra e soggiogarla, che non significa sfruttarla, ma coltivarla e custodirla, averne cura con la propria opera (cfr Gen 1,28; 2,15). Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione!».

Questa valenza teologica del lavoro – una grande novità del cristianesimo, come Benedetto XVI aveva ricordato nel celebre discorso del 12 settembre 2008 a Parigi al Collège des Bernardins – fonda anche il suo valore nella vita degli uomini. «Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17)». Sta qui, e non in semplici analisi economiche o sociologiche, la radice dell’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, la quale condanna chi non rispetta il valore e la dignità intrinseca del lavoro e «a causa di una concezione economicista della società, cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale».

A chi nell’attuale crisi economica internazionale soffre per avere perso il lavoro, il Pontefice vorrebbe «dire di non perdere la speranza; anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci abbandona». E ai giovani che si preoccupano perché forse un lavoro non lo troveranno Papa Francesco suggerisce di non perdere tempo in lamentele sterili, ma d’impegnarsi intanto a compiere il loro dovere, con fiducia nella Provvidenza: «impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, […] nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte».

Naturalmente, quello che la Chiesa valorizza è il lavoro dignitoso e onesto. Diverso è «quello che potremmo definire come il “lavoro schiavo”, il lavoro che schiavizza», spesso gestito da criminali con veri e propri fenomeni di «tratta delle persone». «Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità».

La seconda meditazione del Papa è stata dedicata a maggio, il mese di Maria. Così, ha rilevato, non stiamo cambiando discorso perché Giuseppe e Maria si presentano a noi insieme. «Giuseppe, insieme a Maria, hanno un solo centro comune di attenzione: Gesù. Essi accompagnano e custodiscono, con impegno e tenerezza, la crescita del Figlio di Dio fatto uomo per noi, riflettendo su tutto ciò che accadeva».

L’atteggiamento che il Vangelo di Luca riferisce a Maria lo possiamo senz’altro attribuire anche a Giuseppe: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Per meditare le cose del Signore nel cuore occorre fare spazio con il silenzio alla preghiera. «Per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera».

Dovremmo tutti chiederci in questo mese di maggio: «quale spazio do al Signore? Mi fermo a dialogare con Lui? Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati ad iniziare e a terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che l’amicizia e l’amore di Dio ci accompagnano. Ricordiamoci di più del Signore nelle nostre giornate!».

Fra tante preghiere, maggio c’invita a privilegiarne una. Papa Francesco richiama «all’importanza e alla bellezza della preghiera del Santo Rosario. Recitando l'Ave Maria, noi siamo condotti a contemplare i misteri di Gesù, a riflettere cioè sui momenti centrali della sua vita, perché, come per Maria e per san Giuseppe, Egli sia il centro dei nostri pensieri, delle nostre attenzioni e delle nostre azioni». Per questo mese di maggio, ci chiede uno sforzo per recitare ogni giorno «assieme in famiglia, con gli amici, in Parrocchia, il santo Rosario» o almeno qualche preghiera «a Gesù e alla Vergine Maria». Ne risulterà «più salda la vita familiare, l’amicizia! Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!». E nel Rosario a maggio mettiamo, chiede il Papa, questa intenzione: «chiediamo a san Giuseppe e alla Vergine Maria che ci insegnino ad essere fedeli ai nostri impegni quotidiani, a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno e a dare più spazio al Signore nella nostra vita, a fermarci per contemplare il suo volto».