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FINANZIARIA

Il nuovo gioco delle tre carte del governo

La scorsa settimana il Consiglio dei Ministri ha approvato la manovra da 3,4 miliardi di euro chiesta da Bruxelles per centrare i parametri europei. In teoria dovrebbe ridurre il debito. E ce la farà senza alzare le tasse? Sì, con un vero gioco delle tre carte: trasferendo quote di proprietà statale alla Cassa Depositi e Prestiti.

Economia 22_04_2017
Gentiloni

La scorsa settimana il Consiglio dei Ministri ha approvato la manovra da 3,4 miliardi di euro chiesta da Bruxelles per centrare i parametri europei. Una manovra che questa settimana è stata delineata nel Def 2017, che ha comunque lasciato moltissimi dettagli nell'ombra.

Il perché lo si capisce facilmente analizzando una per una le iniziativa che il governo ha intenzione di prendere: un miliardo di euro dovrebbe arrivare dall'estensione dello split payment sull'Iva, cifra che dipende però dal numero di contratti fra la pubblica amministrazione (che versa direttamente l'Iva allo Stato) e le imprese fornitrici (che ricevono direttamente il compenso netto) e che è quindi difficilmente prevedibile; un altro miliardo da un imprecisati tagli ai ministeri (che finora non si sono mai visti); 800 milioni dall'aumento delle tasse sui giochi, sulle sigarette e da tagli agli enti locali (che si vedranno così costretti ad aumentare le imposte locali) e 600 milioni dalla tassa su Airbnb che pensalizzerà i proprietari di casa.

''Non ci saranno nuove tasse” ha detto Matteo Renzi attribuendo una "fake news" a Luigi Di Maio, che, dal blog di Grillo, lo accusa di aver lasciato un buco nei conti da 3,4 miliardi al quale Gentiloni deve ''mettere una toppa''. Se è vero che anche un orologio rotto ha ragione due volte al giorno, questo è il caso di Di Maio. Il buco infatti c'è eccome e potrebbe diventare ancora più ampio se non verranno centrate le previsioni di crescita del Pil che il ministero dell'Economia ha fissato a 1,1%, contro il precedente 1%. Lo 0,1% può sembrare pochissimo ma tradotto in termini monetari parliamo comunque di uno sbalzo di almeno un altro miliardo e mezzo di euro che dovrà essere trovato a fine anno.

Ma c'è di più. Per far scendere artificialmente il contatore del debito pubblico (e di conseguenza del deficit) il governo starebbe pensando a un ennesimo gioco delle tre carte, stavolta coinvolgendo Cassa depositi e prestiti. Come ha dichiarato il capo della segreteria tecnica del Mef, Antonio Pagani, a Reuters “c'è un gruppo di lavoro tra il ministero e la Cassa depositi e prestiti per che sta guardando a tutte le opzioni per valorizzare il patrimonio pubblico”. L'opzione più quotata – come ha riferito Claudio Antonelli su La Verità – prevede di spingere Cdp ad acquistare circa 20 miliardi di euro provenienti dalle attuali quote del Tesoro – con rispettivi debiti, ça va sans dire - in Enel, Eni, Poste Italiane, Leonardo ed Enav. Società semi-pubbliche in cui Cdp ha già oggi delle quote. Pensiamo a Eni, colosso petrolifero da 90 miliardi di fatturato posseduta al 30,1% dall'azionista pubblico che ha però il controllo completo della governance: di queste quote il 25,76% è di Cdp mentre il restante 4,34% del Tesoro. Diverso il caso di Poste Italiane, con Cdp che possiede il 35% e il Mef che al 29,3%.

Cosa succederebbe, in concreto, col passaggio delle quote statali a Cassa depositi e prestiti? All'apparenza nulla, se consideriamo che la Cassa non è di fatto altro che un gigantesco collettore di partecipazioni statali, posseduta all'80,1% dal Ministero delle Finanze. Si tratterebbe, a tutti gli effetti, di una “auto-vendita” che ridurrebbe solo artificialmente il debito pubblico. La scelta avrebbe comunque conseguenze piuttosto rischiose se ipotizziamo l'eventualità che Cdp assuma in futuro ruolo che, nei decenni passati, è stato proprio dell'Iri: un'istituzione pubblica che opera sul mercato privato a vantaggio dello Stato. Secondo una stima di Stefano Caselli, il prorettore dell'Università Bocconi, pubblicata su L'Economia del Corriere della Sera nel 2016 Cdp valeva la bellezza di 357,7 miliardi di euro, più del doppio rispetto ai 145 miliardi dell'Istituto per la ricostruzione industriale nel 1983.

Tanto per dare un'idea della sua grandezza si consideri che Cdp possiede direttamente o indirettamente quote nelle aziende che producono la passata Pomì (25%), i salumi Vismara (13,5%), nella Palomar che produce i film del commissario Montalbano (12,6%), nella Buccellati Gioielli (49%), nella biofarmaceutica Kedrion (19,3%) oltre a svariati porti, aeroporti e servizi idrici in tutta Italia. E questi sono solo alcuni esempi di una vera e propria costellazione di partecipazioni che ha al suo nucleo quote di controllo delle più importanti aziende pubbliche italiane fra cui Fincantieri (71,6%), Terna, Snam e Italgas (tutte al 17,8%), oltre alle già citate Eni e Poste.

Il rischio concreto, se l'operazione di acquisizione da parte di Cdp andrà bene, è che i governi comincino a pensare di avere fra le mani una nuova gallina dalle uova d'oro da caricare di tutti i debiti delle bad company pubbliche. Una scelta che costituirebbe una vera e propria truffa verso i cittadini caricati di nuovi e sempre maggiori debiti occulti.