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BEATITUDINI

Il Papa ai giovani: poveri, cioè liberi dalle cose

Nel primo dei suoi tre messaggi rivolti ai giovani, Papa Francesco si sofferma sul significato della prima delle tre beatitudini: "Beati i poveri". Povertà non è solo sobrietà rispetto ai beni materiali, ma è affidamento totale al Signore.

Ecclesia 09_02_2014
Papa Francesco

Il 7 febbraio 2014 è stato diffuso il primo di tre messaggi di Papa Francesco ai giovani, che li accompagneranno nel cammino verso la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia del 2016, che fa seguito a quella celebrata nel 2013 a Rio de Janeiro. In questi messaggi il Papa intende introdurre i giovani al vero senso del Discorso della Montagna, dove Gesù proclama le Beatitudini. Nel primo messaggio, formalmente datato 21 gennaio, il Pontefice propone una considerazione generale sulle Beatitudini e una meditazione sulla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).

Le Beatitudini, afferma il messaggio, sono al centro della vita cristiana. Gesù annuncia «la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità». Questa è la prima indicazione del Papa: la via delle Beatitudini è la via di Gesù Cristo. Non è una via semplicemente umanitaria. È una via da «percorrere con Lui», e che senza Cristo troveremmo impossibile. «Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare».

La seconda riflessione che il Papa propone riguarda il rapporto fra Beatitudini e verità. Le Beatitudini propongono un modello «opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante». Vivere le Beatitudini vuol dire vivere la verità e «smascherare e respingere» le menzogne mondane. Francesco cita una lettera del beato Piergiorgio Frassati (1901-1925): «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere».

Terzo: le Beatitudini hanno a che fare con la felicità. Beati nel greco della Bibbia è «makarioi», che possiamo tradurre anche con «felici». Oggi però si ha un'idea distorta della felicità, «si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un’idea “in piccolo” della vita». Non sono «le tante offerte "a basso prezzo"» a dare la felicità. «Quando cerchiamo il successo, il piacere, l’avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. È molto triste vedere una gioventù “sazia”, ma debole». Al contrario, «i giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si “abbuffano” di altre cose!». «Abbiate il coraggio - scrive il Papa ai giovani - di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!».

La seconda parte del messaggio medita sulla prima beatitudine, che dichiara beati i «poveri in spirito» perché a essi appartiene il Regno dei Cieli. «In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo», quasi una provocazione. Si tratta allora di «capire che cosa significa "poveri in spirito"». «L’aggettivo greco ptochós (povero) - spiega il Pontefice - non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”. Va legato al concetto ebraico di "anawim", i “poveri di Iahweh”, che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli "anawim" si fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui». Sulla scia di santa Teresa di Gesù Bambino (1873-1897), tanto cara a Papa Francesco, il «Catechismo della Chiesa Cattolica» parla dell’uomo come di un «mendicante di Dio» (n. 2559).

La vera povertà dunque non è solo sobrietà rispetto ai beni materiali, ma è affidamento totale al Signore. Il Papa ne ricava tre indicazioni. La prima: «cercate di essere liberi nei confronti delle cose». Questa è la povertà «in spirito», che vive qualunque condizione materiale senza lasciarsi dominare dalle cose e con uno stile di distacco e sobrietà.

Secondo: dei poveri che vivono una situazione difficile a causa della mancanza di beni essenziali o di «dipendenze di vario tipo» occorre prendersi cura, «essere sensibili alle loro necessità spirituali e materiali». Come fa sempre, Papa Francesco ricorda che poveri non sono solo quelli che mancano di beni materiali. Ci sono «coloro che non si sentono amati, non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati, delusi, intimoriti». Tutti costoro  «sono per noi un’occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente».

Terzo: i poveri, così intesi, «non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci». Il Papa rievoca san Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783) il quale «dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, [eppure] era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati».

San Benedetto Labre c'insegna il legame fra povertà ed evangelizzazione. «La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda. Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita - ricorda il Papa - sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi». Ma che mantengono la gioia. E «l'evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia».