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INGHILTERRA

Il Principe Carlo e l'apocalisse verde

Cosa c'è dietro la profezia catastrofista del Principe Carlo d'Inghilterra che, in più di un'occasione, ha voluto preannunciare la fine del mondo e il disastro climatico? Un vezzo reale o solo un'ideologia annacquata dal pensiero dominante?

Cronaca 24_01_2013
Principe Carlo d'Inghilterra

Ricordate quando il Principe Carlo d’Inghilterra, a Londra nel 17 maggio 2008 profetizzò l’ennesima apocalisse: “Abbiamo soltanto 18 mesi per fermare il disastro provocato dai cambiamenti climatici?”.
Visto che quella volta il mondo si è salvato, a Roma, alla Camera dei Deputati, il 27 aprile del 2009, Carlo cambiò data: “Sui cambiamenti climatici ci rimangono solo 99 mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno” [1].

Fortunatamente neanche il figlio William ha creduto all’imminente apocalisse e insieme alla consorte Kate ha deciso di mettere al mondo il loro primogenito, che dovrebbe nascere a giugno. L’occasione di diventare nonno non è stata persa da Carlo per salire nell’indice di gradimento dei sudditi dando visibilità al suo impegno ecologista, per questo si è confidato in un intervista: "Non voglio che il mio futuro nipotino mi dica 'Perchè non hai fatto qualcosa?","soprattutto ora che avremo un nipotino, diventa ancora più ovvio tentare e garantire di lasciare qualcosa che non sia un calice totalmente avvelenato", ha aggiunto.

La dichiarazione non ha nulla di nuovo, ma la coincidenza vuole che avvenga dopo pochi giorni da quando il Principe era stato accusato di eludere il fisco, di cercare delle scappatoie legali per pagare meno tasse. Secondo il quotidiano britannico Guardian, nel 2011 il principe ha realizzato dalla sua azienda agricola biologica un fatturato di 700 milioni di sterline (850 milioni di euro). Ha dichiarato profitti per 18 milioni di sterline, su cui ha pagato 5 milioni di tasse. Solo che un’associazione anti-monarchica sostiene che il principe paghi meno del dovuto perché non fa risultare la sua azienda una corporation, soggetta quindi ad un’ulteriore tassa del 24 per cento.

Quindi nessuna evasione fiscale, illegale, ma uno dei “trucchi” usati da banchieri e altri miliardari. Non sappiamo come l’indagine andrà a finire. Certo che sarebbe imbarazzante scoprire che le regole seguite con scrupolo nella fattoria del Principe fossero solo quelle ecologiche, a lui tanto care [2].
Una distorsione attuale vuole che non sono percepite e definite “etiche” le aziende che producono secondo le norme e pagano quanto dovuto all’erario. Per esse non è sufficiente contribuire al bene comune; nell’opinione comune sembrano essere etiche esclusivamente quelle che seguono i dettami verdi, quelle attente all’ambiente secondo quanto prescrivono ad esempio associazioni come il WWF.

Non è detto che l’azienda non deve inquinare, infatti se lo fa in molti casi basta che dimostri di aver pagato il dovuto secondo il famigerato principio “chi inquina paga”. Fino a pochi anni fa nessuno riteneva necessario definire un’impresa “etica”. Era sottointeso che il management aveva la responsabilità di rispettare tutte le norme del diritto e morali. Era sottointeso che finché un’impresa era gestita con questi criteri e non era dimostrato che danneggiava qualcuno, oltre a prodotti e servizi l’azienda questa generava anche ulteriori beni per la collettività in quanto su questa si avevano ricadute come la creazione di posti di lavoro, benessere, versamento delle tasse, creazione di una cultura positiva, etc.

Fra le aziende “in regola”, allora, non era possibile effettuare una graduatoria, dividerle tra buone o cattive, etiche e non, perché era sottointeso che erano tutte “etiche” e quindi da sostenere.
Da un po’ di anni invece c’è un continuo nascere di fondi etici, finanza etica, banche etiche, etc., che si arrogano il diritto di giudicare i buoni ed i cattivi, le aziende da far finanziare preferibilmente perché “verdi” e quelle da “lasciar morire”, quali azioni comprare. Si può così verificare che un’azienda di agricoltura biologica, che produce, incentivata e a costi alti, per l’elite in cerca di prodotti tipici, sia definita “etica”. Invece l’azienda di agricoltura tradizionale, che rispetta tutte le norme, offre cibo a basso costo alla collettività, crea lavoro, versa le tasse che servono per pagare gli incentivi all’agricoltura biologica, corrisponde la componente A3 in bolletta per incentivare l’energia rinnovabile, ricada tra le aziende “non etiche”, con tutti i disagi che ne conseguono.

Chissà se il nipotino del Principe Carlo in futuro gli chiederà: perché non hai fatto qualcosa per tornare alla realtà dall’ideologia verde? Siamo fiduciosi, come diceva il filosofo Norberto Bobbio “la realtà con il tempo ha sempre il sopravvento sulle idee”, figuriamoci sull’ideologia.


[1] Fu in quella occasione che il presidente della Camera Gianfranco Fini si rivolse al principe del Galles definendolo ‘un alfiere’ della cultura ambientale” e il responsabile ambiente del PD, on. Ermete Realacci, chiese al Governo italiano di raccogliere “l’appello lanciato dal Principe Carlo”.

[2] Anche per quest’ultime comunque va scritto che ad esempio nel 2008 l'attivista Michael Bruton ha accusato l’allevamento di ostriche del Principe per l’introduzione nella zona di crostacei non nativi e per l'accumulo di rifiuti sulle coste.