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OLTRE LO SPORT

Il senso della maglia

Nessuna giustificazione della violenza, ma intorno ai fatti accaduti allo stadio Marassi di Genova si è scatenata
la solita cagnara mediatica un po' ipocrita e un po' schizofrenica.

Editoriali 25_04_2012
Genoa, consegna delle maglie
Ha suscitato polemiche feroci il gesto clamoroso degli ultras del Genoa, che domenica scorsa hanno letteralmente obbligato i giocatori rossoblu (in caduta libera verso la Serie B) a togliersi le maglie e a consegnarle alla Curva, in “segno di rispetto”. I giornali sono gonfi di commenti indignati, che lamentano l’acquiescenza della società del Genoa e dei suoi calciatori, e considerano inaccettabile che le forze dell’ordine abbiano assistito senza reagire a questo plateale atto di prepotenza, che ha fra l’altro comportato la sospensione della partita.

Non si può che essere d’accordo nel condannare la violenza, e a suo modo quella consumatasi allo stadio di Marassi è stata, appunto, una prova di forza, una condotta estorta con la minaccia: non è infatti chiaro che cosa sarebbe successo se i giocatori del Grifone avessero deciso di tenersele, quelle benedette maglie.

Ma proprio per questo, e senza nessun tipo di sconto o di giustificazione per il fanatismo e la brutalità dei violenti, forse occorre recuperare un po’ di equilibrio, e spegnere questo ennesimo incendio di demagogia mediatica.

In primo luogo, si tratta di mettersi d’accordo una buona volta: che cosa vogliamo, intendo dire noi italiani e soprattutto noi opinionisti, dalle forze dell’ordine? Vogliamo il rispetto della legalità e della legge, a qualunque costo? Benissimo. Ma questa richiesta implica il dispiegamento di un numero di poliziotti sufficiente per caricare con successo i facinorosi, tifosi o no tav che siano. E implica, lo si deve sapere a priori, l’uso della forza. E la forza si esercita con i manganelli, con gli strattonamenti, con le botte, quando di fronte hai un gruppo o addirittura una folla di facinorosi. E, lo si deve sapere prima, lo spettacolo che ne viene fuori non è bello, non è neutro: le telecamere inquadrerebbero poliziotti in assetto antisommossa che le suonano di santa ragione a dei cittadini, portati via magari sanguinanti e recriminanti per le botte ricevute. E bisogna anche sapere prima che quando inizi una colluttazione con un uomo, sai dove cominci e non sai dove finisci; e che stabilire se hai picchiato troppo o troppo poco è un giochino da spettatori in poltrona, e isolare un fotogramma mostrando la “brutalità” del poliziotto diventa un giochetto radical chic che dipende esclusivamente dal “colore” della casacca del manifestante.

In questi giorni nelle sale italiane sta girando un film che denuncia i fatti accaduti nella scuola di Bolzaneto durante il G8, quando sarebbero stati compiuti atti di violenza gratuita contro i dimostranti. Non entriamo qui nel merito di questa storia controversa, ma ne approfittiamo per osservare che gran parte dei mass media, e fra questi ad esempio il settimanale Famiglia cristiana, ha elevato un monumento al film e al regista del film, schierandosi senza se e senza ma con i manifestanti.

Allora tocca decidersi: vogliamo una polizia legittimata dalla legge e dall’opinione pubblica, passando per i mass media, a mettere le cose a posto anche usando la forza? Oppure vogliamo una polizia che  accolga i violenti cantando garbatamente “prego grazie scusi, tornerò”, come un indimenticabile Adriano Celentano annata 1963? Seconda osservazione: in casi come quello accaduto allo stadio di Genova, gli editoriali dei nostri quotidiani sembrano evocare il ritorno del boia e i Piombi di Venezia per i galeotti. Si vagheggia di giudici direttamente in servizio negli scantinati degli stadi, che per direttissima dovrebbero sbattere in galera i colpevoli, senza passare dal ricorso in appello e magari eliminando pure quella cosa fastidiosa che si chiama diritto alla difesa.

Però poi quegli stessi opinionisti non disdegnano di marciare insieme ai Radicali che hanno organizzato per il 25 aprile una manifestazione contro le carceri e il degrado (obiettivo, per altro) delle medesime. Questa schizofrenia è insopportabile, indigeribile, sostanzialmente cretina.
Terza e ultima considerazione. In questi anni abbiamo visto e sentito negli stadi cose terribili: accoltellamenti, botte fra tifosi, poliziotti uccisi, bestemmie (tollerate dagli opinionisti), cori volgarissimi resi non meno volgari dall’abitudine ma super tollerati, cori razzisti giudicati sempre intollerabili dai mass media, cori “devi morire” indirizzati all’avversario a terra per  aver subito un fallo, intervallati da scene di commozione “televisiva” e minuti di silenzio quando qualche giocatore muore davvero, come capitato a Morosini.

Beh, in tutte queste scene da girone dantesco, l’idea di esigere dai propri giocatori la consegna delle maglie, con la motivazione che “le stavano disonorando”, è la cosa meno schifosa e meno disumana che abbiamo visto in quel microcosmo particolarissimo che è uno stadio di calcio. Nessuno vuole giustificare gli ultras del Genoa, e speriamo che chi ha sbagliato paghi. Ma, in un mondo che ormai persegue il “male minore” come stella polare della morale (tempi assai tristi, dunque), almeno questi ragazzotti innamorati della loro squadra si sono inventati una punizione di stampo cavalleresco. Hanno chiesto indietro le insegne, per le quali ogni giorno palpitano e soffrono come se quella fosse la loro bandiera, la loro religione. Per loro, dunque, niente manganello e olio di ricino, ma un po’ di pietoso dialogo ecumenico. O no?