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Il tribalismo supera la dovuta obbedienza al Papa

Da cinque anni i laici e il clero di una diocesi della Nigeria rifiutano il vescovo Peter Okpaleke: non appartiene alla tribù Mbaise. Papa Francesco ha mandato un ultimatum al clero locale. Ma il tribalismo, che il Papa non riconosce come causa di questo male, in Africa è più radicato dell'obbedienza che il clero deve al Papa stesso.

Ecclesia 13_06_2017
Mons. Peter Okpaleke

Da cinque anni i laici e il clero di una diocesi della Nigeria sud orientale rifiutano il vescovo nominato nel 2012 dal Vaticano. La diocesi è quella di Ahiara, nello stato di Imo. L’ostilità nei confronti del vescovo scelto durante il pontificato di Benedetto XVI deriva dal fatto che Monsignor Peter Okpaleke pur essendo un Ibo, l’etnia della maggior parte degli abitanti del sud est della Nigeria, è originario di uno stato vicino e non è uno Mbaise, la tribù di quasi tutti i fedeli della diocesi e del suo stesso predecessore, deceduto nel 2010. 

La situazione al momento della nomina era tesa al punto che la cerimonia di ordinazione di Monsignor Okpaleke si è dovuta svolgere in una diocesi vicina per evitare incidenti. Da allora il nuovo vescovo non ha ancora messo piede ad Ahiara. La cattedrale cittadina è stata persino circondata da barricate per impedirgli di entrare, se mai avesse tentato di raggiungere la sede vescovile. Nel 2013 Papa Francesco ha nominato amministratore apostolico della diocesi il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo della capitale Abuja, confidando che potesse convincere il clero diocesano ad accettare il nuovo Pastore. L’anno successivo ha mandato a valutare la situazione l’allora presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, il cardinale Peter Turkson. Ma a nulla è servito. Clero e laici sono irremovibili, convinti che sarebbe stato possibile trovare un sacerdote locale dotato dei requisiti necessari per essere nominato vescovo. 

È quanto ha ribadito una delegazione della diocesi di Ahiara ricevuta l’8 giugno in Vaticano. La risposta di Papa Francesco è stata durissima: riservandosi il diritto di prendere i necessari provvedimenti, quella del clero di Ahiara – ha detto – è una posizione insostenibile e soprattutto intollerabile. Dopo aver confermato di aver preso in considerazione persino la possibilità di sopprimere la diocesi, riunendola a quella di Owerri da cui era stata staccata nel 1987, il Papa ha dato ai sacerdoti di Ahiara un mese di tempo per pentirsi. Entro quel termine, tutti – che risiedano nella diocesi o altrove – devono indirizzare al Pontefice una lettera chiedendogli perdono per il loro comportamento. La lettera – ha spiegato il Papa – deve essere individuale e personale, deve “esprimere chiaramente una obbedienza totale al Papa” e l’impegno “ad accettare il vescovo nominato e inviato dal Papa”. I sacerdoti che non invieranno la lettera entro il 9 luglio “saranno ipso facto sospesi a divinis e rimossi dal loro incarico”. “Il popolo di Dio è scandalizzato” ha aggiunto Papa Francesco definendo peccato mortale un simile atto di disobbedienza. “Questo non è un caso di tribalismo – ha voluto infatti precisare – è un caso di appropriazione della vigna del Signore”, con riferimento alla parabola dei vignaioli omicidi.

Ma è proprio il tribalismo all’origine del grave, persistente atto di disobbedienza. I fedeli di Ahiara vogliono un Pastore come loro, uno Mbaise. Lo dicono da cinque anni e il loro non è neanche un episodio isolato.  

Un caso analogo si è verificato ad esempio in Sierra Leone allorchè nel 2011 il vescovo Giorgio Biguzzi della diocesi di Makeni, nel nord del paese, ha lasciato per raggiunti limiti d’età l’incarico che aveva ricoperto per 24 anni. L’entusiasmo per la decisione del Vaticano di sostituirlo con un sacerdote africano è durato poco, sostituito da rabbia incredula non appena si è sparsa la notizia che la scelta era caduta su padre Henry Aruna, un sacerdote di etnia Mende, la seconda etnia della Sierra Leone, concentrata nel sud, mentre Makeni è il territorio dei Temne, l’etnia più numerosa. Anche a Makeni le porte della cattedrale sono state sbarrate, la popolazione è insorta. Monsignor Aruna, l’ “usurpatore”, è stato ordinato un anno dopo la nomina, ma nella capitale Freetown, per evitare disordini, e a Makeni non si è mai insediato. Vista la situazione, la Santa Sede ha deciso di lasciare vacante la diocesi e ha chiamato a gestirla un amministratore apostolico, padre Natalio Paganelli, un missionario saveriano, italiano, come monsignor Biguzzi.

Nel 2015 Papa Francesco ha poi elevato padre Paganelli alla dignità episcopale assegnandolo però a un’altra diocesi, quella di Gadiaufala, e nominandolo vescovo amministratore di Makeni. Monsignor Aruna invece è stato “trasferito” da Makeni e nominato vescovo ausiliario della sua diocesi di origine, quella di Kenema, nel sud Mende. Inoltre gli è stata affidata la sede titolare vescovile di Nasbinca, in Algeria. 

Meglio uno straniero, dunque, che un estraneo: questo pensano i fedeli Temne, e di sicuro anche quelli Mende: e dire che in Sierra Leone i cristiani sono pochi, solo il 10% circa della popolazione, si penserebbero più uniti. In quel caso Papa Francesco in sostanza ha ceduto, alla fine accontentando tutti. Lo scorso settembre, parlando ai vescovi stranieri convenuti a Roma, ha però ricordato che la Chiesa deve sempre porsi al di sopra dei fattori tribali e culturali.

La diocesi di Ahiara non lo ha fatto. L’ultimatum del Papa può indurre il suoi sacerdoti all’obbedienza. Ma escluderlo come fattore scatenante, non rende il tribalismo meno reale.