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QUALE GOVERNO?

Il voto del Friuli segna il destino di questa legislatura

A meno di colpi di scena, l’esito di questa legislatura pare già scritto. Durerà ancora qualche mese o, nella migliore delle ipotesi, fino alle elezioni europee, ma a guidarla sarà un governo tecnico in grado di traghettare il paese nelle riforme e nei rapporti con l'Ue. Il colpo di scena potrebbe essere un ritorno dell'accordo Salvini-Di Maio.

Politica 01_05_2018
Sergio Mattarella, a chi darà l'incarico adesso?

A meno di colpi di scena, l’esito di questa legislatura sembra già scritto. Durerà ancora qualche mese o, nella migliore delle ipotesi, un altro anno fino alle elezioni europee del maggio 2019, ma a tenerla in vita non sarà quasi sicuramente un governo politico, bensì un esecutivo tecnico o istituzionale in grado di guidare il Paese nelle difficili sfide europee, soprattutto di natura economico-finanziaria.

Mentre non può escludersi del tutto un ritorno di fiamma Lega-Cinque Stelle, sembra tramontata per sempre l’ipotesi di un contratto Pd-Cinque Stelle, dopo le esternazioni di Matteo Renzi, domenica sera in tv a Che tempo che fa. Il ragionamento dell’ex premier è stato lineare: il Pd ha perso le elezioni del 4 marzo, spetta ai vincitori fare una proposta di governo. E all’eventualità di un’intesa programmatica con Di Maio, Renzi ha risposto senza mezzi termini con un rifiuto: "Un eventuale governo tra noi e i Cinque Stelle dovrebbe smontare quanto di buono abbiamo fatto in cinque anni di governi di centrosinistra e sarebbe la fine della sinistra". Parole che hanno irritato lo stato maggiore del partito, in particolare il reggente Maurizio Martina, pronto a gettare la spugna ("Qui rischiamo l’estinzione"), ma anche un esponente di punta del partito, Dario Franceschini, peraltro vicinissimo al Quirinale, che ha apostrofato il segretario dimissionario con un “Matteo irrispettoso signornò”. D’altronde i numeri sono dalla parte di Renzi, che può contare sulla quasi totalità dei 54 senatori e su gran parte dei 112 deputati Pd, così come sulla maggioranza dei membri di direzione. Ben difficilmente, quindi, i dem avrebbero potuto gettarsi tra le braccia dei grillini, pur volendolo, senza il consenso dei renziani. In ogni caso, la riunione della direzione dem di giovedì ha il sapore della resa dei conti tra renziani e minoranza interna e quindi l’ordine del giorno risulta a dir poco stravolto dalla netta presa di posizione televisiva di colui che rimane comunque il leader di quel partito.

Quello che però non ha messo in conto l’ex sindaco di Firenze è un’altra debacle alle prossime elezioni, che appaiono ormai lo sbocco più probabile. Le avvisaglie, d’altronde, non mancano. Ieri dalle urne friulane è uscito un responso molto chiaro. Il candidato del centrodestra, il leghista Massimiliano Fedriga, con il 57,1%, ha stracciato tutti gli avversari, compreso il dem Sergio Bolzonello, vicepresidente uscente, la cui coalizione non raggiunge neppure il 27% dei consensi (il Pd raccoglie il 18,39%). Crolla all’11,7% il M5S, il cui candidato governatore dimezza i voti pentastellati delle politiche, forse anche a causa dell’elevatissimo astensionismo (ha votato meno del 50% degli aventi diritto). La lista grillina incassa appena il 7,1%. Si accentua la forbice all'interno del Centrodestra tra Lega, che raggiunge il 35%, e Fi, che si attesta al 12%. Si tratta, ormai, di un travaso che appare irreversibile e che non mancherà di avere riflessi anche in sede nazionale. Rumors sempre più insistenti vorrebbero un’ala di Forza Italia, capitanata dal governatore ligure, Giovanni Toti, in spedita marcia di avvicinamento verso il Carroccio, e pronta a lavorare per il partito unico del centrodestra a trazione leghista.

A questo punto la battaglia si sposta a Roma. Il potere contrattuale di Salvini nella formazione del governo è accresciuto dall’exploit friulano. Luigi Di Maio l’ha capito e gioca d’anticipo, attaccando tutti, soprattutto il Pd di Renzi, proponendo al leader del Carroccio di salire subito al Quirinale con lui per chiedere a Sergio Mattarella di sciogliere le Camere al più presto, al fine di consentire agli italiani di tornare alle urne già a fine giugno. Il candidato premier dei Cinque Stelle ha compreso che in questa legislatura non c’è alcuno spazio per un governo da lui guidato e preferisce accelerare i tempi del ricorso alle urne, come se si trattasse di un secondo turno dopo quello del 4 marzo. Vuole evitare di scavallare l’estate, che potrebbe riservare tante incognite e spegnere gli entusiasmi anche nella base pentastellata, desiderosa di vedere a Palazzo Chigi un suo uomo.

Il centrodestra, però, sulla risoluzione dello stallo attuale è diviso. Forza Italia punta su un esecutivo di minoranza a guida leghista che cerchi i voti in Parlamento, magari trovando inaspettatamente quelli renziani, sulla base di un accordo in materia di riforma elettorale o addirittura istituzionale. Per un immediato incarico a Salvini anche Fratelli d’Italia. Matteo Salvini, invece, sembra frenare: "Al governo ma senza salti nel buio", continua a ripetere, forse nella speranza di poter tornare a coltivare il dialogo con i grillini e di presiedere un esecutivo dei vincitori, con l’astensione di Berlusconi. Ora più che mai il pallino è nelle mani di Sergio Mattarella.