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LIBERTÀ RELIGIOSA

In Pakistan la sfida di Benedetto XVI

«Un grande incontro interculturale sulla libertà religiosa a Islamabad». Ne parla Paul Bhatti, succeduto al fratello Shahbaz nella carica di ministro.

Attualità 08_12_2011
paul bhatti
Un incontro interculturale tra rappresentanti di diverse confessioni provenienti da tutto il mondo. Per rispondere ad una semplice domanda: si può uccidere in nome della religione? L’idea è ambiziosa, ma è l’unico modo per onorare il primo anniversario del sacrificio di Shahbaz Bhatti, cattolico, ministro per le minoranze religiose del Pakistan ucciso il 2 marzo scorso. E per la riuscita di quello che è a tutti gli effetti il primo congresso di portata internazionale sul tema della libertà religiosa a Islamabad, la città dove Bhatti fu ucciso, in un paese dove la legge sulla blasfemia sta mietendo vittime oggi più che 20 anni fa, il neo ministro federale per l’Armonia e fratello del martire cristiano Paul Bhatti, è deciso a coinvolgere la comunità internazionale. Manca solo la data, verso febbraio 2012, i relatori Bhatti li sta contattando in occidente perché è il confronto tra questi due mondi che può fecondare. Ci saranno il cardinale Tauran e l’arcivescovo di Canterbury. Più rappresentanti degli indù e di altre confessioni che si trovano a convivere con gli islamici. «Lo faccio per dare una risposta alla domanda che mi sono fatto il giorno del funerale di mio fratello», spiega Paul Bhatti in questa intervista alla bussolaquotidiana.it.

Quale?
Quando mio fratello venne ucciso, tornai in Pakistan per il funerale. Ero deciso a portare mia madre in Italia, dove vivevo e lavoravo da 10 anni come medico chirurgo. Ero sicuro che avrei chiuso questa storia. La nostra famiglia, con la morte di Shabhaz, non era più sicura in Pakistan.

E poi?
Poi vidi una distesa sterminata di persone. Non solo cristiani, ma anche musulmani e fedeli semplici di altre minoranze religiose.

Qual è la domanda?
E adesso chi porterà la sua croce? Per raggiungere la chiesa dovetti impiegare quattro ore a piedi, mi feci largo tra la folla per ore. Ho visto un movimento di popolo che chiedeva giustizia e libertà religiosa.

Oggi invece è stato lei a lasciare l’Italia con la sua famiglia ed è tornato ad Islamabad. Perché?
E’ stato il presidente Zardari a chiedermi di continuare l’opera di mio fratello. Non potevo dire di no.

Quindi è lei che dovrà portare la sua croce...
Dio voleva che seguissi la sua missione. Qualche mese prima di morire Shahbaz mi chiese di raggiungerlo in Pakistan. “La mia vita sta giungendo al termine”, disse.

E lei rimase in Italia?
Sì, vivevo con angoscia le minacce che riceveva. Gli dissi che non volevo passare dal paradiso all’inferno e gli proposi di raggiungermi in Italia e sospendere per un po’ la sua attività politica di denuncia.

E lui?
Ricordo la sua risposta: “Non morirò in Italia”.

Così adesso nell’inferno è piombato lei...
Perché rifiutando avrei lasciato il campo agli estremisti.

A che punto è la vicenda di Asia Bibi?
E’ ancora in carcere, l’attenzione mediatica non deve fermarsi.

Quante possibilità concrete ci sono per cancellare la legge sulla blasfemia a causa della quale Asia Bibi è in attesa della sentenza capitale?
Poche, ma in questo momento non è il centro della mia attività.

Perché?
Perché neanche abrogando le norme sulla blasfemia, si risolverebbe il problema.

Sarebbe un inizio...
E’ vero, ma è la cultura che deve cambiare. Il mese scorso mi sono occupato personalmente di un’accusa di blasfemia che ha colpito un cristiano. Ebbene: ho coinvolto una commissione di saggi, tra cui molti islamici. Il responso è stato negativo: non c’è stata alcuna azione irriguardosa verso il Corano. Così il giudice ha assolto quell’uomo. Sa come è andata a finire?

Come?
Che gli estremisti hanno ucciso prima lui e poi il giudice. Finchè non cambia la mentalità l’abrogazione della legge è inutile.

Come fare allora per cambiare la cultura?
Anzitutto potenziare il sistema sanitario e scolastico che penalizza i poveri. Mio fratello decise di spendersi per loro perché aveva visto le grandi diseguaglianze tra ricchi e poveri. Noi stessi, sebbene cristiani, ma benestanti, non siamo mai stati toccati da provvedimenti restrittivi in quanto cristiani, diverso invece il caso di chi vive nella miseria che non può difendersi.

Crede che l’incarico che le ha affidato il presidente Zardari possa svolgersi serenamente?
Sì, abbiamo ottenuto una vittoria importante sull’uso della parola “Gesù Cristo” negli sms.

Cioè?
Fino a un mese fa era proibito pronunciarla. Rientrava in uno dei 1.600 termini sottoposti a censura perché considerati blasfemi o pornografici. Ci sono stati anche cristiani finiti in carcere per sms considerati blasfemi, ma dei quali non si è mai potuto apprendere in fase di giudizio il contenuto perchè sempre secretati.

Come si sta muovendo in ambito internazionale?
Questo è un punto cruciale. Ho ottenuto l’appoggio del cancelliere Merkel, dell’ex ministro Frattini e di altri rappresentanti di governo. Ma la sfida ora è riuscire a portare questi concetti di libertà in Pakistan.

E’ a questo che serve il convegno?
Certo. Ho contattato personalmente il cardinal Jean Louis Tauran, presidente del pontifcio consiglio sul dialogo interreligioso, che è già stato in Pakistan e ha partecipato a diversi incontri. Poi sono stato dall’arcivescovo di Canterbury. L’obiettivo è portare questo tipo di dialogo da noi con tutti i rappresentati religiosi, anche quelli islamici, ben sapendo che è difficile trovare un capo rappresentativo presso di loro perchè mancano di magistero.

Non c’è il rischio che diventi una parata istituzionale di buone intenzioni?
Dipende da come lo si affronta. Vorrei che si rispondesse al quesito posto da Benedetto XVI a Ratisbona: “E’ lecito uccidere in nome della religione?”. E far saltare fuori che l’Islam è una religione di pace. E’ questa la vera sfida del dialogo interculturale tra le religioni.

Farlo a Islamabad a un anno dalla morte di suo fratello ha un alto valore simbolico...
E’ il miglior modo per rendere onore al suo sacrificio. Il fatto stesso che si possa svolgere è già un fatto storico.

E’ la prima volta?
Di questa portata internazionale sì. E’ questa la novità. Recentemente è stato svolto un congresso simile a Faisalabad, ma aveva un taglio più locale. E’ tempo che il mondo intero accenda i riflettori sul Pakistan.