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COVID-19

In Uganda più che il coronavirus uccide il lockdown

La difficoltà di raggiungere gli ospedali in mancanza di mezzi di trasporto pubblici fa sì che molti ugandesi restino privi di cure: donne incinte e bambini sotto i cinque anni quelli più a rischio

Svipop 16_08_2020

In Uganda il 13 agosto i casi di COVID-19 accertati sono 1.313 e nove i decessi. Se anche dei malati sfuggono al conteggio, si tratta comunque di un ottimo risultato, ottenuto anche grazie al fatto che il governo ha adottato delle misure per contenere il contagio a partire dal 18 marzo: distanziamento fisico, vietati i raduni, chiusi molti negozi, obbligatorio l’uso delle mascherine, interrotti i trasporti su mezzi pubblici. Proprio quest’ultimo provvedimento però ha causato come era prevedibile non pochi problemi in un paese in cui i mezzi di trasporto privati non sono alla portata di tutti. Tra gli effetti negativi, che il progressivo allentamento delle misure di contenimento si spera potrà presto contenere, c’è la difficoltà per moltissime persone che necessitano di cure di raggiungere ospedali e ambulatori. A spiegarlo è Martin Ogwand, direttore sanitario del Lacor Hospital di Gulu, famoso in tutto il mondo per aver lottato e sconfitto l’epidemia di Ebola scoppiata nel paese nel 2000, fondato dai missionari comboniani nel 1959 e gestito dal 1961 e fino alla loro morte dai coniugi Pietro Corti e Lucille Teasdale. In particolare, la maggior parte delle donne povere – ha raccontato all’agenzia Fides – usano il trasporto pubblico per raggiungere ospedali e ambulatori distanti. Il coronavirus “ha fatto sì che non riescano a raggiungere le strutture sanitarie. I numeri parlano chiaro: a gennaio abbiamo avuto 720 ammissioni al reparto di ostetricia, ad aprile 475; sempre a gennaio 600 ammissioni al reparto di pediatria contro i 300 in aprile. La frequenza in ospedale si è quindi ridotta della metà”. La salute di tanti bambini ne ha risentito: “quelli che vediamo in questo periodo – precisa il pediatra del Lacor, Venice Omona – sono molto malati: sono venuti dopo che i genitori hanno cercato, senza successo, di curarli a casa o in piccole cliniche vicine. Arrivano tardi, quando la situazione è grave. Se il blocco continua potremmo perdere molti bambini che non riescono a raggiungere l’ospedale in tempo, in particolare neonati o piccoli con  malaria e anemia falciforme. Il coronavirus in Uganda è anche questo”.